
Il meteorologo Gordon Baldacci
Empoli, 29 agosto 2019 - ‘WET downburst’. E’ questo il nome tecnico-scientifico del fenomeno meteorologico che lunedì pomeriggio ha scoperchiato il palasport di Montelupo. Si tratta del terzo caso nell’Empolese Valdelsa in meno di cinque anni. Il primo, nel 2014, colpì duramente il comune di Cerreto Guidi provocando ingenti danni nelle frazioni di Stabbia e Lazzeretto. Nel 2016, a Empoli la violenza della ‘natura’ sradicò diversi pini sul lungarno Alighieri. Ormai è certo: il clima, anche da noi, è cambiato, come spiega dal suo studio di Limite Gordon Baldacci, meteorologo previsore del Centro funzionale regionale della Toscana.
Dottor Baldacci, innanzitutto, perché voi addetti ai lavori utilizzate sempre termini in inglese?
«Non lo facciamo per un vezzo, ma semplicemente perché questi fenomeni iniziarono a fare la loro comparsa a metà degli anni Ottanta negli Stati Uniti d’America, soprattutto nelle pianure centrali. Si verificavano poi degli incidenti aerei, ma non si riusciva a capire esattamente cosa succedesse nell’atmosfera in quel momento».
Gli studi hanno poi portato all’identificazione del fenomeno?
«Sì, è definito con il termine downburst oltreoceano. Tradotto in italiano è chiamato anche raffica discendente, ed è quel fenomeno meteorologico che consiste in una forte corrente verticale che raggiunge la superficie, accompagnata a un violento temporale. Per semplificare: se svuotiamo improvvisamente una bottiglia verticalmente, l’acqua schizzerà via sulla superficie in tutte le direzioni dal punto sul quale è caduta. Sappiamo che l’acqua rallenta tantissimo quando si muove lungo piani orizzontali. Il vento orizzontale originato dal deflusso di un downburst, gli imprime una violenta accelerazione».
E’ quindi sbagliato definirlo tromba d’aria?
«La tromba d’aria si verifica lungo le coste, proviene dal mare e ha un meccanismo inverso, ovvero aspira dal basso e spara verso l’alto».
Perché dei fenomeni tipici del clima americano sono arrivati anche sul nostro territorio?
«L’anticiclone africano è uno dei principali colpevoli, perché la sua presenza massiccia nelle nostre zone, rispetto a 20/30 anni fa, favorisce l’innalzamento delle temperature e alti tassi di umidità, portando il nostro clima a essere più tropicale. In quelle situazioni di saturazione della colonna d’aria, basta l’ingresso di deboli correnti più fresche alle quote più alte dell’atmosfera per innestare il processo che porta poi a questi fenomeni così estremi».
Come è possibile ‘difendersi’ da questi improvvisi fenomeni atmosferici?
«Purtroppo tante volte non sono prevedibili, per la veloce evoluzione con cui si formano, non rilevabili neppure con gli strumenti a nostra disposizione. Banalmente, bisognerebbe tornare a guardare il cielo, come facevano i nostri nonni. Imparare a capire quando le condizioni stanno per cambiare e adottare tutte le precauzioni del caso suggerite dalla Protezione Civile. Una cosa, però, si può e si dovrebbe fare: dotare il territorio di una rilevazione più capillare con una serie di stazioni meteorologiche complete di tutti i sensori (anemometro, barometro, termometro e pluviometro) in tutti i Comuni dell’Unione».