La storia della banca coop è davvero chiusa

Dai momenti d’oro con la ‘Capraia Montelupo e Vitolini’ fino a Ubi per giungere oggi al passaggio sotto le insegne di Intesa Sanpaolo .

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di Bruno Berti

La storia di quella che per i risparmiatori dell’Empolese è stata la ‘banchina’ adesso è davvero conclusa. Dopo l’annullamento delle azioni, nel senso che Ubi aveva avuto Banca Etruria (in cui l’istituto locale era confluito trent’anni fa) per il proverbiale tozzo di pane, adesso il passaggio a Intesa Sanpaolo di Milano pone la parola fine a quella vicenda economica e sociale che affondava le sue radici nel solidarismo cattolico. E così i soci e risparmiatori, che, pur recandosi nella stessa filiale, hanno cambiato ben quattro insegne, adesso, tra pochi mesi, ne avranno ancora un’altra con Intesa Sanpaolo, se non ci sarà la cessione di alcune filiali a Bper (Banca popolare dell’Emilia Romagna) per effetto delle disposizioni dell’Antitrust in occasione dell’acquisizione di Ubi da parte, appunto, del gruppo creditizio milanese.

Con il senno di poi qualcuno, nelle discussioni di paese, potrà dire che avevano ragione quelli che si erano opposti all’unificazione con gli aretini dell’Etruria, che allora aveva nel nome anche ‘del Lazio’, che fece cambiare pelle a un istituto vivace che era riuscito a ritagliarsi uno spazio nel mondo, affollato di concorrenti, del credito locale. Gli esponenti dell’ala che aveva perso dissero infatti che i posti conquistati dagli alfieri dei vincitori in diversi consigli d’amministrazione del gruppo messo su dagli aretini non sarebbero durati a lungo. E così fu. Le sedi della Banca coop di Capraia, Montelupo e Vitolini, ovviamente cambiarono nome, visto che la vecchia azienda non esisteva più. Restò naturalmente il posto di lavoro per i dipendenti, ma i vertici erano cambiati, e nel tempo mutarono anche le facce di chi gestiva le filiali, sempre più in arrivo da Arezzo. Dalla Banca dell’Etruria e del Lazio si passò poi, con un cambio di nome, alla Banca Etruria, che divenne un operatore creditizio di rilievo nell’Italia centrale.

Intanto, nel territorio della vecchia ‘banchina’, i soci continuavano nel loro rapporto con la nuova realtà. Poi il mondo del credito iniziò a cambiare. Per la Toscana basti ricordare gli anni della ‘sparizione’, tramite fusioni e quant’altro, del sistema, un tempo intoccabile, delle Casse di risparmio. Il segno della fine di un’epoca lo fornì la decisione dei soci della Cassa di Firenze di far confluire il loro istituto nel gruppo Intesa. Una scelta che si è rivelata azzeccata, visto che la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze è stata in grado di rispettare la propria missione fornendo contributi a tante iniziative, pubbliche e private, grazie agli utili arrivati da Milano. Cosa che, per terminare il quadro della Toscana, non è riuscito alla Fondazione del Monte dei Paschi di Siena, ridotta a mal partito rispetto ai tempi d’oro a causa dei gravi problemi della ‘sua’ azienda bancaria. E ai guai del mondo del credito non sfuggì neppure Banca Etruria. Al termine di una via crucis, fatta anche di cambi al vertice, si arrivò a una forma di salvataggio dell’istituto, che però faceva praticamente sparire gli azionisti. Infatti Banca Etruria finì a Ubi non certo a prezzi di mercato. E così i soci scomparirono, visto che le loro quote non esistevano più. Adesso, complice il tempo che passa, stanno scomparendo anche quei dipendenti frutto della prima acquisizione: sono veramente pochi quelli in forza alla vecchia ‘banchina’ che non sono ancora andati in pensione. Il nuovo acquisto di Intesa Sanpaolo, l’ennesimo cambiamento, fa compiere un altro passo, quello definitivo, verso la perdita del senso di quell’avventura nel credito e nell’economia locali.

Sull’ipotesi della cessione di filiali locali di Ubi a Bper in esecuzione delle misure decise dall’Antitrust, Laura Sostegni, segretario provinciale della Fisac, il sindacato dei bancari aderente alla Cgil, sostiene che "è più facile cedere filiali ad Arezzo che a Empoli, anche se le decisioni su quali sedi cedere non sono state ancora prese. Certo, conta anche l’andamento delle diverse filiali". L’impressione è che il tema della vendita di sportelli (oltre 500) a Bper abbia ancora bisogno di un po’ di tempo per essere portato a termine. Per chiarezza Sostegni aggiunge anche alcuni aspetti tecnici utili per capire che cosa potrebbe succedere. "In casi come questi si cedono le sedi in cui l’istituto di credito opera, il personale e i conti correnti gestiti nella singola filiale. E’ chiaro che poi il cliente deciderà se intende rimanere nello sportello che è stato ceduto, oppure passare a un’altra banca".