CARLO BARONI
Cronaca

Gli scarichi non depurati. Conto dell’erario a una ditta. Il caso arriva in Cassazione

Sotto la lente i costi ritenuti indeducibili e il maggior reddito di impresa . La sentenza: "Esistevano stretti legami tra il Consorzio e la società ricorrente" .

Le indagini sulla vicenda furono condotte dalla Guardia di Finanza e, sotto il profilo penale, il caso è chiuso da tempo

Le indagini sulla vicenda furono condotte dalla Guardia di Finanza e, sotto il profilo penale, il caso è chiuso da tempo

Dal punto di vista penale il caso – che all’epoca fece scalpore nel Valdarno – delle irregolarità nel trattamento degli scarichi connessi alla conciatura di pellame, da parte del Consorzio Conciatori di Fucecchio è chiuso tempo per tutti i soggetti che, a vario titolo, vi furono coinvolti. Lo scandalo venne fuori – lo ricordiamo – quando le Fiamme Gialle operarono una serie di sequestri, dopo la verifica di irregolarità riscontrate nel sistema di smaltimento dei reflui delle acque trattate dal depuratore di Ponte a Cappiano.

Una vicenda che ’rivive’ a livello di cronaca oggi per per una sentenza civile della Corte di Cassazione alla quale ha fatto ricorso una società – che conferiva i liquami al Consorzio dopo averne operato la raccolta presso le imprese del territorio – contro quattro avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2009, 2010, 2011 e 2012 e per i quali l’erario aveva contestato la presenza di costi indeducibili con un conseguente un maggior reddito di impresa ed a fini Irap per circa 2,5 milioni di euro. Avvisi che la società aveva impugnato, ma la commissione tributaria provinciale li aveva respinti. Da qui un ricorso d’appello, ugualmente respinto. E si arriva davanti agli ermellini dove, fra vari aspetti, la società in questione ha ribadito la propria estraneità "rispetto a condotte – lamentava la difesa – che sarebbero da ascrivere unicamente al Consorzio Conciatori di Fucecchio". Respingendo il ricorso la Cassazione, fra vari aspetti, rileva che "esistevano stretti legami tra il Consorzio e la società ricorrente" connessi soprattutto "alla partecipazione di maggioranza detenuta dal Consorzio (83,33%) del capitale della società", e anche "alla partecipazione dei rappresentanti legali e dei vertici direzionali del Consorzio negli organi direzionali e tecnici della società stessa".

La Cassazione ricorda al riguardo anche che proprio i vertici del Consorzio "erano stati condannati per il reato ambientale loro ascritto per l’effettuazione di processi di depurazione in un impianto manomesso ed in violazione di ogni autorizzazione". Dunque i costi di cui la ricorrente sostiene la deducibilità, "corrispondono esattamente a quanto pagato al consorzio per il compimento di detta attività illecita che, si ripete, riguardava anche la gestione ed il trattamento dei liquami raccolti sul mercato dalla contribuente".

C. B.