
di Tommaso Carmignani
Chi si è trovato in questi giorni a passare per il centro di Empoli ha notato uno scenario che, a dispetto del lockdown di marzo, qualche differenza la presenta. Perché zona rossa non vuol dire esattamente tutti chiusi in casa, basti pensare alle molteplici attività commerciali che vengono considerate di primaria necessità e che, quindi, hanno la possibilità di stare aperte. Il problema è che qualcuna di loro sfrutta il caos che si è generato nella giungla dei codici Ateco, quelli che identificano il tipo di negozio in base alla tipologia di merce venduta. A qualcuno è andata bene, ad altri un po’ meno, ma parlando con gli stessi commercianti viene fuori che alla fine non ci guadagna nessuno. E che anzi rimanere aperti può non essere cosi conveniente.
"Io vendo scarpe – dice Marco Carpignani, presidente di Confesercenti Empoli e titolare di Biba Calzature – e non ho l’autorizzazione a restare aperto. Chi invece ha reparti per bambini può farlo, perché considerati di prima necessità". Per non creare disparità con gli altri, queste attività devono però limitarsi alla vendita dei beni primari e chiudere gli altri reparti. "Per adesso non ho notizia di furbetti, cioè di negozi che si approfittano della loro condizione per tenere tutto aperto – dice ancora Carpignani – ma il caos che si è generato con questi codici è un dato di fatto. Non c’è stato un criterio giusto nelle decisioni che sono state prese, se volevamo combattere il virus dobbiamo stare tutti chiusi. Credo che sia fondamentale ragionare meglio sulla questione degli indennizzi, siamo stati chiusi due mesi a marzo e quello che ho ricevuto io è sì e no un 7% del fatturato. Dobbiamo dare liquidità alle aziende, per noi è come l’ossigeno per i malati di Covid".
Tra i costretti a stare chiusi c’è anche Giovanni Preti, titolare di Mitch&Lui, negozio di abbigliamento in centro. "Anche io non posso stare aperto, ma in questo momento non so se sia davvero uno svantaggio. Le attività che possono farlo – dice – non stanno comunque lavorando perché di persone in giro ce ne sono pochissime, ma il loro timore è di non ricevere nessun tipo di aiuto proprio perché non gli viene imposta la chiusura. Alla fine siamo tutti sulla stessa barca e continuiamo a non comprendere il motivo per cui sono più le attività che hanno l’autorizzazione a stare aperte che quelle chiuse. Se c’è il rischio contagio allora si chiuda davvero, ma non come si vede ora".
Forti lamentele arrivano infine anche sul fronte degli estetisti: a Castelfiorentino si denuncia l’incremento dell’abusivismo, cioè persone che vanno a svolgere i propri servizi a casa dei clienti. In virtù dell’ultimo Dpcm, questa cosa è espressamente vietata.