Facebook scambia il cognome per insulto razzista e blocca il profilo

La storica torrefazione di caffè di Limite sull’Arno in guerra con la piattaforma fondata da Zuckerberg. L’algoritmo scambia il cognome di famiglia per un aggettivo razzista. Offese anche dai “naviganti“

Angela Sesoldi, una delle titolari della storica torrefazione di caffè di Limite sull’Arno

Angela Sesoldi, una delle titolari della storica torrefazione di caffè di Limite sull’Arno

Limite sull'Arno (Firenze), 4 febbraio 2023 - Quando hanno letto il caso della finocchiona, bannata da Facebook perché ritenuta offensiva per la parità di genere, in qualche modo si sono sentiti chiamati in causa. Se c’è qualcuno che conosce bene le storture dei social network e, soprattutto, questa fissa del politicamente corretto che in molti casi rasenta la follia sono i titolari della Torrefazione Caffè Negro di Limite sull’Arno. Negro non è un aggettivo scelto a caso, ma il cognome dei due fondatori, che quando nel 1950 misero su la loro azienda di caffè tutto si sarebbero immaginati tranne che le nipoti, 70 anni dopo, si sarebbero ritrovate a fare i conti con chi le definiva ‘razziste’ per via del nome. E pensare che della famiglia fa parte anche quell’Antonio Negro che fu padre costituente, membro del partito Comunista e al quale è intitolato il circolo Arci di Limite sull’Arno. Uno che ha fatto dei valori di uguaglianza e progressismo un vero e proprio credo di vita, ma a cui al giorno d’oggi non viene appunto perdonato di chiamarsi con un aggettivo che può essere utilizzato per condire epiteti razzisti. E perciò anche in casa Negro, così come gli amanti della finocchiona, ci si è trovati spesso a fare i conti con le follie di Facebook.

"Siamo un’azienda che vende caffè da 70 anni – spiega una delle titolari, Angela Sesoldi – e come molti abbiamo avviato un processo di digitalizzazione per stare al passo con i tempi. Spesso abbiamo realizzato delle campagne pubblicitarie sui social, ma ogni volta che proviamo a promuoverne una i nostri post vengono bloccati perché ‘incitano all’odio razziale’. Abbiamo provato a spiegare che Negro è il nostro nome, ma non è facile avere a che fare con questa piattaforma. E così dobbiamo inventarci degli escamotage per evitare che le campagne vengano rimosse. Anche il nostro stesso account è stato bloccato più volte per questo motivo. Abbiamo aperto vari contenziosi, ma il brutto di queste piattaforme è che molto spesso non è facile parlare con persone in carne ed ossa".

Un problema, quello legato al nome, che spesso è andato anche al di là del mondo digitale. Un paradosso, quello del politicamente corretto, che ogni tanto torna a tormentare la famiglia di Caffè Negro. "Va a periodi. Quando il tema del razzismo è più caldo – dice ancora la titolare – noi in qualche modo ci troviamo in mezzo alla bufera. Qualche anno fa, quando in America fu eletto Obama, ci telefonò una persona dal forte accento straniero che era passata davanti alla torrefazione e aveva visto l’insegna: ce ne disse di tutti i colori, additandoci come razzisti. Provammo a spiegargli che Negro era il nostro cognome, ma niente".

Anche sui social è una lotta continua. "Ci scrivono in privato oppure commentano i nostri post. Qualcuno scherza, altri meno. Noi rispondiamo sempre col sorriso sulle labbra e cerchiamo di far capire la verità. In linea di massima veniamo compresi – spiega ancora Angela Sesoldi – ma non possiamo negare che questa storia del nome ci abbia danneggiato in passato". E’ successo quando l’azienda ha provato ad esportare all’estero.

"Ci hanno spiegato che ci sono paesi, come ad esempio gli Stati Uniti e l’Inghilterra, dove sarebbe impossibile pensare di vendere caffè a marchio Caffè Negro, perché verremmo immediatamente additati di razzismo. Per questo ci siamo dovuti inventare un’altra etichetta: siamo stati obbligati". In nessun caso, però, le titolari hanno pensato di cambiare nome alla ditta. "Non vedo perché dovremmo – conclude Sesoldi – visto si tratta appunto del nostro cognome. Non solo non c’è niente di cui vergognarsi, ma forse sarebbe ora di smetterla con queste assurdità del politicamente corretto".