BRUNO BERTI
Cronaca

La grande fuga: mancano i farmacisti. L’allarme nell’Empolese: "Orari lunghi, salari bassi"

Benedetta Mariani (Cgil): "È un problema che riguarda anche le grandi città"

Una farmacia (Foto di repertorio)
Una farmacia (Foto di repertorio)

Empolese Valdelsa, 3 aprile 2023 – Se un tempo nei piccoli paesi i vertici sociali erano il sindaco, il parroco e il farmacista, oggi le cose sono decisamente cambiate. Infatti, sulla strada impervia della nostra salute si staglia, dopo quello della carenza di medici, un altro ostacolo pesante, che riguarda, appunto, la penuria di farmacisti. Da un lato la professione ha perso smalto sociale (ovviamente per quel che riguarda i farmacisti dipendenti, non i titolari). Tutto ciò porta una situazione potenzialmente esplosiva (assodato che acquistare farmaci sulla rete non è certo una sicurezza) perché il numero dei farmacisti è destinato a diminuire. 

Ne è ben consapevole Benedetta Mariani, coordinatrice regionale del settore farmacie della Filcams-Cgil. "Già adesso – dice la sindacalista – è difficile trovare personale, e il tema non riguarda solo le città più grandi. Per capirsi, la difficoltà nel reperire farmacisti riguarda anche l’Empolese Valdelsa. Nella zona (territorio ex Asl11) le farmacie sono 35, con circa un centinaio di addetti". 

E per esempio anche trovare sostituti temporanei diventa sempre più difficoltoso. Il numero delle strutture è stabilito su base comunale: una farmacia ogni 3.300 abitanti. Dal 2017 il titolare può anche essere una società. Così si spiega anche il fiorire di catene di farmacie, fenomeno più presente nel Nord Italia.

Le questioni all’origine della penuria sono quelle della sindrome da ascensore sociale bloccato: la professione non fornisce più stimoli adeguati, senza contare alcune difficoltà specifiche del settore. "Vero, in un comparto in cui sono molte le donne - sottolinea Mariani - incidono di più questioni come gli orari lunghi, e quindi una maggiore difficoltà a conciliare famiglia e lavoro. Se i problemi c’erano anche prima, con la pandemia sono aumentati in maniera esponenziale. Da una parte il lavoro era più pesante: le farmacie erano strategiche per la tenuta del sistema sanitario, dall’altra si doveva fare i conti anche con la novità della ricetta elettronica e nuovi servizi, come i tamponi e le vaccinazioni". 

Se di ascensore bloccato si parla, nell’elenco dei nodi da sciogliere non può mancare il macigno degli stipendi. "Il salario negli anni cresce poco, e ciò pone il problema di un maggior riconoscimento, se si vuole combattere la carenza di personale, come chiesto da anni e in molti modi dal sindacato. Un farmacista prende, in media, circa 1.500 euro netti al mese, che però all’atto dell’assunzione sono 1.400. Dopo 10 anni di lavoro si arriva a 1.600. Per dare un’idea, negli altri Paesi dell’Europa il trattamento dei farmacisti è ben diverso. 

Il massimo si tocca in Inghilterra, dove lo stipendio è tre volte il nostro, mentre in Svizzera il salario è doppio. In una situazione non brillante, c’è anche da sottolineare un altro effetto della mancanza di personale: il periodo di apprendistato viene pagato a prezzo pieno e non 500 euro come rimborso spese, somma che era la norma fino a 10 anni fa". Alla base di tutto c’è l’effetto perverso del minor fascino della professione: la diminuzione degli iscritti alle facoltà di Farmacia, tra l’altro a numero chiuso.

"A Firenze – chiarisce Mariani - i posti disponibili sono 180 per due corsi di laurea, uno in farmacia e l’altro in Ctf (Chimica e tecnologie farmaceutiche). Nel 2022 le domande per farmacia sono state 36".