REDAZIONE EMPOLI

André Casaca e l'arte comica. 'Leggeri come clown per apprezzare l'umanità'

Via al settimo festival internazionale di casa a Castelfiorentino, tra workshop e teatro

André Casaca è il direttore artistico del Teatro C'Art

Castelfiorentino, 5 aprile 2019 - «Il clown è un come un bimbo piccolo: se combina qualcosa, lo perdoni, perché è fragile. Anche se in realtà, accanto all’innocenza, nasconde sempre un velo di ambiguità». André Casaca, brasiliano di casa ormai a Castelfiorentino, ha il teatro nel sangue. Un teatro fatto di comicità, incentrato sull’uomo. Un teatro che, da domani a sabato prossimo, diverrà anima della settima edizione del Festival internazionale dell’arte comica. Sua la direzione artistica, come del resto nel Teatro C’Art tra i motori della rassegna che contempla due spettacoli al Teatro del Popolo e una serie di workshop.

Partiamo da una definizione. Cos’è l’arte comica?

«Il nome della rassegna mira a creare a Castello un’identità legata alla comicità intesa come arte evolutiva».

Si spieghi meglio... 

«Lavorando sulla figura del clown, cerchiamo di indagare nel profondo la stupidità dell’uomo, carattere istintivo, luogo senza controllo. E lo si fa attraverso la gestualità, dando la parola al corpo».

L’obiettivo?

«Restituire forza e valore alla comicità. Ormai appare ovunque, in tv, nel cabaret, nella satira. Ma per noi è altro. E’ teatro comico fisico».

Un percorso costellato di eccellenze, ospiti della rassegna...

«Abbiamo avuto ospiti prestigiosi e questa edizione non fa eccezione. Vedi Avner Eisenberg, tra i clown più importanti al mondo, qui come formatore del workshop per professionisti e sul palco il 13 aprile in ‘Exceptions to gravity Usa-Physical comedy’».

Domani ‘Clown in libertà’ con Adorni, Bianchini e Mori. Perché venire a teatro?

«Per apprezzare due lavori distinti. ‘Clown in libertà’, dove la musica incontra il corpo con tre artisti apprezzatissimi anche all’estero, e l’opera di Eisenberg dove in scena c’è la comicità con libertà e precisione. Qualcosa di incredibile».

Troppo complicato per ‘parlare’ ai bambini?

«Assolutamente no. Sono spettacoli per tutti. Privilegiamo lavori che siano universali perché quando l’opera valorizza l’universalità di linguaggio, tutti ridono».

Ma la risata che ruolo ha in tutto questo?

«E’ un segnale di comprensione di quello che accade sul palco. La platea è ragione, il clown è irrazionalità e, in questo incastro, diventa complemento del pubblico».

E nel farlo educa?

«Insegna a sdrammatizzare, a suo modo dà una lezione. Un po’ come accade nei bambini e negli anziani, si disinteressa del giudizio. Nel suo dramma, è libero».

E la libertà è la sua ispiratrice nel pensare il festival?

«La mia volontà è provocare la necessità di guardare le cose con il naso rosso, portando leggerezza nella quotidianità. E’ un modo per restituire la possibilità di confrontarsi su cosa significa essere umani».

Samanta Panelli