Firenze, 7 dicembre 2024 - Il sole allo zenith per illuminare i sentieri di vite a diverse latitudini e stagioni. Nel punto culminante dei cammini dell’esistenza, molto si riassume di sé, ad esempio quando “affacciati sulla balza / dell’infanzia rivoltiamo / il piano sequenza dell’età / asfaltiamo le culle / e le sere toccate dal rosso”. Leggendo l'ultima raccolta di poesie di Cinzia Demi, Il solstizio dei sentieri, edito da CartaCanta - Capire Edizioni, nella collana Passatori - Contrabbando di poesia, presentata recentemente a Firenze in Palazzo Medici Riccardi da Alessia Bettini, Denata Ndreca e Chiara Frigenti, si ha sempre la sensazione che ci sia una luce accesa sulle pagine.
Anche quando Demi evoca la penombra, è per illuminarla, per portare alla luce una fragilità di fondo che può essere tenace nel resistere e anche fiorire. Molto, dipende da dove si nasce, dal contesto storico, di latitudine, familiare. Siamo così abituati, qui, ad avere un senso individuale, che tutto sembra dipendere da noi e al servizio di sè, talvolta come se si avesse avuto sempre la stessa età. Ma nella verità delle cose non è così, è un'illusione.
Demi, con un'immagine efficace, scrive che per quanto ci si corazzi, si cammina nella storia con le scarpe di tela, e pone sotto il solstizio i temi dell'abbandono, della precarietà affettiva, della prova (il sudario), il labirinto, il peccato (la separazione dentro e fuori di sé, attraverso il richiamo di alcuni pilastri biblici), il sogno. Non è facile volere bene. Non è così spontaneo come si crede, confondendo spesso il proprio benessere con la capacità di sapere tenere le relazioni con gli altri, in modo soddisfacente. Il mercato detta legge, è l'altra faccia di quella medaglia che altera il valore della vita insieme alla competizione, al conflitto, alla guerra adottati come uno strumento ragionevole, fino a fare accettare gli “scarti”, gli “effetti collaterali”, come una necessità, di fronte alla quale non fermarsi, non fare lutto. Demi invoca la capacità di vivere “senza arretrare/ sul limite ultimo del male”, anche quando porta sotto il solstizio la caduta di un'immigrata (“il cadere notturno”) e della sua bambina, “un luogo dove tutto si fermò / da cui la gente decise / di andar via nel moto dei / millenni sui legni dell’ipocrisia”.