Udo Surer: “Io, figlio di SS, sui luoghi delle stragi per costruire la pace”

Il riconoscimento della Regione Toscana dopo vent'anni di impegno per il dialogo fra i popoli: il padre partecipò alla strage di San Terenzo Monti e Vinca

Il riconoscimento a Udo Surer (Foto Giuseppe Cabras / New Press Photo)

Il riconoscimento a Udo Surer (Foto Giuseppe Cabras / New Press Photo)

Firenze, 25 aprile 2024 - Una rete di pace tessuta filo per filo, pezzo dopo pezzo, ricucendo le lacerazioni provocate da chi, come suo padre, si macchiò di crimini efferati. Udo Surer, avvocato di Lindau, in Baviera, è figlio di Josef Maier, uno dei soldati tedeschi che parteciparono alla strage di San Terenzo Monti e Vinca. Nell’estate del 1944 il 16° Battaglione Panzergranadier SS (il famigerato battaglione della morte), al quale apparteneva l’uomo, sterminò solo in Lunigiana più di 400 civili, compresi donne e bambini, continuando poi a lasciarsi alle spalle una lunga scia di sangue.

Udo, scoperto il ruolo del padre, è tornato anno dopo anno in quei luoghi per incontrare i superstiti e portare un messaggio di pace. E ieri è stato premiato per questo suo lungo impegno dall’assessora regionale alla Memoria della Toscana Alessandra Nardini, dai sindaci di Cascina e Fivizzano, Michelangelo Betti e Gianluigi Giannetti, e dal presidente dell’Anpi di Pisa, Bruno Possenti.

«Sono nato nel 1955 avendo i segni della guerra in casa – ha raccontato -. Mio padre aveva perso una gamba in battaglia e mostrava una cicatrice blu sotto il braccio. Da bambino gli chiedevo spesso i motivi di quelle ferite, ma lui raccontava poco. Diceva di essere stato in guerra, che le SS erano soldati normalissimi e che era rimasto mutilato in combattimento, a Marzabotto. La mia era una famiglia rigida: mio padre era un uomo duro, senza emozioni visibili. Era anche violento, ma avendo un handicap non era pericoloso, perché potevamo scappare. Sapevo poi che mia mamma lo aveva conosciuto nel dicembre 1944, in un ospedale militare, dove era arrivato ferito da Verona».

Poche informazioni su un passato misterioso, strappate a lunghissimi silenzi, in un rapporto fra padre e figlio sempre più difficile. «Crescendo ho visto che in casa c’erano sempre giornali estrema destra – ha proseguito Udo Surer - ma ben presto mi sono allontanato dalle idee dei miei genitori. Mio padre diceva che noi giovani eravamo influenzati dalla propaganda americana e che lui aveva un’opinione diversa, che sapeva come erano andate davvero le cose, avendo vissuto il nazismo. Sosteneva che la guerra in Italia sarebbe stata abbastanza piacevole se non ci fossero stati i partigiani. Non si è mai pentito. E non è stato mai chiamato a rispondere delle sue azioni. Quando ho deciso di fare obiezione di coscienza e di non fare il militare, ha mandato una lettera terribile alla commissione, chiedendo che mi imponessero il servizio di leva: in realtà le sue parole mi hanno aiutato a evitarlo, ma da allora non gli ho dato la mano per dieci anni, andandomene di casa».

Poi, con la vecchiaia, i rapporti fra i due si sono un po’ distesi, ma dopo la morte del padre, nel 1992, Udo ha voluto fare chiarezza sul suo passato. Anche perché, proprio a seguito della sua scomparsa, l’incontro con i cinque figli che Josef Maier aveva avuto da un precedente matrimonio hanno fatto emergere dettagli inediti, come la sua convinta adesione al Reich e al nazismo. «Decisi di raccogliere informazioni attraverso gli archivi militari – ha raccontato ancora Surer - scoprendo che aveva fatto parte della prima compagnia della XVI divisione corazzata. Nel 2002 il presidente della Repubblica Federale di Germania Johannes Rau andò a Marzabotto, sui luoghi della strage nazista. Sentii quel nome e ricordai che era il luogo in cui mio padre aveva perso la gamba. Pensai che non potesse essere un caso». Da qui la decisione di andare sul posto, iniziando così una lunga serie di tappe in vari luoghi teatro di eccidi. Visite che si sono trasformate in incontri con superstiti e testimoni, in amicizie e relazioni di pace nate là dove il padre aveva seminato odio e dolore. Surer è stato invitato a posare corone e commemorare vittime, ha organizzato incontri e confronti, in Italia come in Germania.

Uno sforzo di pacificazione che lo ha portato anche a cambiare cognome, per prendere definitivamente le distanze dalle scelte del padre. «Dal 2014 sono socio Anpi – ha concluso ieri - e dal 2015 cittadino onorario di Fivizzano. L’Italia è la mia seconda patria. La targa ricevuta oggi è l’ultima maglia di una catena di miracoli che hanno cambiato la mia vita negli ultimi vent’anni».