Payback, la tassa che rischia di far chiudere aziende di dispositivi sanitari

La situazione del Calderaro Medical Service di Firenze: “Ci sono aziende che hanno paventato l’idea di non rifornire più l’Italia. Cosa vuol dire? Che se ad esempio un paziente ha bisogno di una valvola cardiaca e non c’è, rischia di morire”

Strumentazione oculistica

Strumentazione oculistica

Firenze, 6 dicembre  2022 - Dietro una tassa dal nome quasi sconosciuto – ‘payback’ – si nasconde un serio rischio per tutti i cittadini. Che andando in ospedale potrebbero non essere più operati, al cuore come agli occhi o per qualsiasi tumore. E questo perché le aziende del settore dei dispositivi medici rischiano di chiudere i bilanci in perdita e di chiudere i battenti.

Chiudendo, smetterebbero di rifornire gli ospedali di tutti quei materiali e di quelle strumentazioni indispensabili che mettono in condizione i medici di portare avanti una visita quanto un’operazione a cuore aperto. In Italia ci sono circa 5mila aziende di questo tipo – piccole e medie imprese – con un indotto di circa 500mila persone. Che quotidianamente portano prodotti – dalle protesi alle valvole cardiache, solo per fare qualche esempio-  agli ospedali, consentendo sostanzialmente che vengano svolte attività mediche, chirurgiche, di diagnostica. La mazzata del ‘payback’ è piombata sulle spalle delle aziende del settore di dispositivi sanitari proprio nel momento peggiore, quello in cui le bollette si sono triplicate e i costi sono aumentati anche per l’importazione delle materie prime. Mentre a più voci si chiede che il governo inserisca nella manovra la cancellazione della tassa, a cominciare dall'appello lanciato dal presidente di Confindustria Dispositivi medici, Massimiliano Boggetti, al Forum Risk Management in Sanità di Arezzo nell'ambito del convegno "Innovazione e sicurezza dei dispositivi medici - La governance del settore", da parte loro le regioni fanno muro contro muro e la pretendono.

“È uno degli elementi che quest'anno ci consentiranno di far quadrare il nostro bilancio - ha detto il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani - I produttori farmaceutici dei dispositivi facciano quel che è disposto dalla legge, devolvano alle Regioni il dovuto”. La questione non è banale, anzi, in Toscana balla una cifra considerevole: si tratta "di una partita importante, da 390 milioni circa", ovvero le cifre dovute nel quadriennio 2015-2018, osserva il governatore. Che sa, d'altro canto, come la partita si giochi in un terreno di gara complicato: "Abbiamo la consapevolezza che pur di non versare le risorse si impostano contenziosi", tuttavia, assicura, "siamo pronti ad affrontarli". Inoltre "come Conferenza dei presidenti delle Regioni, abbiamo auspicato che il governo dia il senso di un automatismo per poter ricevere queste risorse". Ma per le aziende la situazione è a dir poco insostenibile. A loro l’idea di ‘tappare gli extra costi della pandemia o i buchi di bilancio’ di Asl e ospedali, proprio non va giù. La somma è stata già messa dallo Stato a copertura del decreto Aiuti bis, ma le conseguenze per aziende, lavoratori e dei cittadini-pazienti non sono di poco conto. Stefano Calderaro ci spiega la situazione del suo Calderaro Medical Service di Firenze, che si occupa di diagnostica e chirurgia oculistica.

“Come tanti miei colleghi riforniamo gli ospedali con gare ufficiali: ad esempio se il primario ha bisogno di un laser da 120mila euro (per fare un esempio) fanno una ricerca di mercato e indicono la gara – spiega Stefano - . Siccome le aziende sanitarie hanno sforato il budget annuale, a Renzi è venuta l’idea – per il 2015 e fino al 2018 - di chiedere un rimborso dalle aziende che hanno fornito i materiali. Un’idea che è stata messa in pratica, divenendo effettiva, solo dalla fine luglio di quest’anno col governo Draghi e il ministro Speranza. Una legge che peraltro è retroattiva, dunque anche anticostituzionale. In pratica, di questi anni, - 2015, 2016, 2017 e 2018 - di tutto il mio fatturato (non il guadagno, attenzione, ma il fatturato), dovrei restituire il 20%, ossia 500mila euro. Ma io non ho neanche lontanamente guadagnato il 20%, in più ci ho pagato anche le tasse. Dovessi chiudere, io manderei a casa tre dipendenti, ma ci sono altri colleghi che manderebbero a casa molti più dipendenti di me, chiamati a pagare milioni di euro. A gennaio ci arriverà l’ingiunzione di pagamento: se non riusciamo a pagare, hanno già detto che prenderanno i soldi da quello che ci devono. Lo Stato è con questi soldi, di noi fornitori di Asl e ospedali, che ha messo in pari il bilancio: i due miliardi da pagare li prendono da lì, da questa tassa. Ma noi rischiamo il tracollo. Ci sono multinazionali che hanno paventato l’idea di non rifornire più l’Italia. Sa cosa vuol dire questo? Se ci fanno bloccare tutto, se ad esempio un paziente ha bisogno di una valvola cardiaca, se questa valvola non c’è, perché non viene rifornita, il paziente muore. Il rischio è che il paziente vada in ospedale ma qui non ci sia il materiale per curarlo. So bene che i veri eroi durante la pandemia sono stati gli infermieri e i medici. Ma quando tutti erano chiusi, anche noi, come altri colleghi, lavoravamo, e andavamo a portare la strumentazione in ospedale, a rischio della vita. E ora, con questa tassa assurda, oltre al danno, la beffa. Come sindacato abbiamo fatto ricorsi al Tar e ci siamo rivolti ai legali”. Maurizio Costanzo