Omicidio Chimenti, dopo 19 anni la verità tra gioco d'azzardo e usura

Livorno, svolta clamorosa nell’inchiesta su un delitto del 2002. Scoperto anche un grosso giro di usura: undici misure cautelari

Un colpo di pistola finito nel muro dove fu ucciso Chimenti (Foto Novi)

Un colpo di pistola finito nel muro dove fu ucciso Chimenti (Foto Novi)

Livorno, 14 settembre 2021 - Vent’anni. Ci sono voluti quasi vent’anni (diciannove, esattamente) per venire a capo dell’omicidio di Alfredo Chimenti, detto "Cacciavite", freddato a pistolettate in un’alba appiccicosa di scirocco e inondata di rosso sangue su un marciapiede di piazza Mazzini, a cento metri dalle gru del porto di Livorno. Storia di balordi, gioco d’azzardo, usura. Una storia sbagliata, avrebbe cantato Fabrizio De André. La giustizia non sempre è infallibile, ma talvolta sa essere inesorabile, ed ecco che a distanza di tanto tempo inchioda alle loro responsabilità tre persone, fra cui l’autore materiale dell’omicidio, che intanto di primavere ne conta 72.

Un complesso mosaico investigativo, messo insieme dai carabinieri di Livorno in collaborazione con la Guardia di Finanza di Pisa coordinati dalla Procura di Ettore Squillace Greco, ha portato all’arresto di tre livornesi: Riccardo Del Vivo, Massimo Antonini e Gionata Lonzi. Ma sono 11 in tutto le misure cutelari, in seguito all’inchiesta che si è sporcata anche di usura e giocpo d’azzardo clandestino. Del Vivo avrebbe premuto il grilletto della calibro 38 uccidendo Chimenti davanti al portone di casa. Il complice Antonini guidava lo scooter col quale i due fuggirono. Lonzi aveva procurato l’arma. Fu un delitto “storico“ per Livorno, dove al tempo le bische clandestine facevano affari d’oro.

Vent’anni fa il gioco d’azzardo era gestito da gruppi criminali che si facevano la guerra per dominare la rete della malavita. E l’omicidio di "Cacciavite", ex calciatore di talento con qualche vizio di troppo, maturò proprio nel mondo del gioco d’azzardo più spregiudicato, quello che non perdona.

Così gli investigatori hanno capito che si trattò di un sorta di resa dei conti tra due circoli rivali: il "Garuffa" (che ha dato il nome all’operazione), di cui Chimenti era socio, e lo "Sporting Club", che usufruiva della protezione della cosiddetta "batteria", vale a dire un potente gruppo criminale in rapporti con esponenti del terrorismo di estrema destra appartenenti a sodalizi di stampo mafioso.

Chimenti, dal carattere forte e duro, era diventato un soggetto scomodo, non gradito alla "batteria" per i suoi comportamenti prepotenti. Da qui la decisione di "toglierlo di mezzo". Ma per ricostruire il suo profilo bisogna risalire al 1991, quando per la prima volta in Toscana i carabinieri del Ros diretti dal generale Mario Mori misero a segno un blitz sgominando i nuclei centrali dei clan rivali Musumeci-Tancredi: ebbene, nel processo spuntò, con altri 36 imputati, anche il nome di Alfredo Chimenti.

Ora è stata scritta una pagina importante di questa storia di sangue. Del Vivo, accusato di aver piegato per sempre “Cacciavite“, oggi ha 72 anni. Diventato collaboratore di giustizia, è agli arresti domiciliari.