Mostro di Firenze, 35 anni di misteri. L’impronta dimenticata agli Scopeti

Nel settembre 1985 l’orma di uno scarpone vicino alle vittime, ritenuta molto significativa, non venne refertata

La targa posta da Francesco Cappelletti nella piazzola, l’ultimo duplice omicidio

La targa posta da Francesco Cappelletti nella piazzola, l’ultimo duplice omicidio

Firenze, 5 settembre 2020 - A Scopeti, frazione di San Casciano, tra le erbacce della piazzola, è spuntata una targa di marmo. «A Nadine e Jean Michel che non ci sono più/Alla giustizia che non è mai stata resa». La scritta è in francese, francese come i due fidanzati che nel settembre del 1985, 35 anni fa esatti, vennero straziati lì, dove avevano montato la loro canadese, dai colpi di una calibro 22 mai trovata e dalla precisione chirurgica di un coltello. Nei lustri che son passati, nessuno aveva mai pensato a un ricordo per le ultime vittime del mostro di Firenze.

Lo ha fatto un gruppo di appassionati di uno dei più grandi misteri italiani. Su Facebook in poche ore hanno raccolto la somma necessaria e uno di loro, Francesco Cappelletti, ha materialmente posato la targa. In accordo con l’avvocato Vieri Adriani, legale delle parti civili d’Oltralpe. E dunque con le famiglie Mauriot e Kraveichvili, le ultime a piangere per i colpi della calibro 22 assassina ma anche gli ultimi ad arrendersi. Adriani, che è anche autore, con Cappelletti e Salvatore Maugeri, un amico del francese ucciso dal mostro, del libro ’Delitto degli Scopeti, giustizia mancata’, ha tenuto viva sinora l’inchiesta sui duplici delitti che hanno terrorizzato Firenze e le sue colline tra il 1968 e il 1985. Ma subito dopo i 17 anni segnati dall’incubo di un assassino inafferabile, è seguita una stagione di inchieste e ricerche del colpevole. O dei colpevoli. Ma anche di errori e depistaggi. Quel periodo, nonostante le condanne definitive dei ’compagni di merende’, non è ancora concluso. Ed è ancora la piazzola degli Scopeti a consegnare l’ennesimo enigma. E l’ultima falla nell’indagine. Ma prima, bisogna riavvolgere il nastro. A cominciare dall’ultimo nome piombato in questo rompicapo giudiziario: l’ex legionario di Prato Giampiero Vigilanti. Oggi ha quasi 90 anni. E’ un personaggio ambiguo, avvezzo all’uso delle armi, che addirittura si è ’autocollocato’ sui luoghi di almeno due delitti, Calenzano, 1981, e Vicchio, 1984. Indagando su Vigilanti, i carabinieri del Ros e la polizia giudiziaria dei pm Luca Turco e Paolo Canessa, si sono imbattuti in un’impronta. Anzi in due. Una è stata isolata proprio a Calenzano. Esistono foto di quell’orma e perfino un calco. All’epoca, venne scartata perché bollata come la camminata di un carabiniere. Errore: oggi gli inquirenti hanno messo nero su bianco che il ’carrarmato’ non corrispondeva a quello di nessuno scarpone delle nostre forze armate dell’epoca. Né polizia, né carabinieri. Non vigili del fuoco, o forestali, finanzieri o militari. In compenso, hanno accertato che è uguale agli stivali dell’esercito francese. E rieccoci a Scopeti, 35 anni dopo. Il giorno del ritrovamento dei due corpi (lunedì 9 settembre) i criminologi di Modena notarono un’impronta di uno scarpone vicino al corpo del ragazzo, nascosto dal killer nella macchia. La videro subito, tanto che, su La Nazione del giorno dopo, l’inviato Sandro Bennucci informava i lettori su quanto il professor De Fazio puntasse su tale traccia. Nella sua perizia, agli atti, scriverà: «posizione altamente significativa» ma anche «aleatoria fruibilità identificativa posto che che sul luogo erano passati e ripassati numerosi agenti». Venne dato per scontato che l’impronta fosse un ’inquinamento’ di inquirenti poco attenti. Altro errore. Lo testimoniano le cronache: l’orma era stata isolata subito e aveva anche una logica nella dinamica dell’omicidio. Oggi, la procura non ha neanche una foto. Sarebbe stato importantissimo fare una comparazione, ma non è possibile a causa di questo incredibile ’buco’ nei reperti. Il mostro ringrazia, la verità no.