Condannati per la morte di Martina. Ma niente carcere, l’ordine è sospeso

Tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo: possono chiedere l’affidamento in prova

Martina Rossi

Martina Rossi

Arezzo, 9 ottobre 2021 - L’ordine di carcerazione per Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, colpevoli di aver inseguito Martina per stuprarla fino a farla precipitare dal quinto piano di un albergo a Palma di Maiorca, è stato emesso con la dicitura "sospeso".

La procura generale di Firenze è rimasta nel solco tracciato dalla giurisprudenza: seppur per i reati sessuali la carcerazione sia immediata (anche sotto la soglia di 4 anni), non lo è per i reati tentati. E giovedì sera la Quarta Sezione di piazza Cavour ha chiuso la vicenda della ventenne genovese rendendo definitiva la condanna a tre anni di reclusione ma per tentata violenza sessuale di gruppo. Che non prevede l’immediata apertura delle porte di un carcere.

Ma il percorso per Vanneschi e Albertoni può non essere così scontato e deve passare dal tribunale di Sorveglianza. I condannati hanno annunciato di voler chiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali. Qualche lavoretto al verde pubblico e l’assistenza agli anziani. I giudici però hanno ampi margini valutativi dettati da due parametri: il comportamento degli imputati e il risarcimento del danno. Vanneschi e Albertoni non solo non hanno mai chiesto scusa o si sono mostrati nei confronti della famiglia dispiaciuti e provati per la vita spezzata di una giovanissima, nel corso di audizioni, interviste e ricorsi hanno dipinto Martina come una folle, cercando di accreditare la tesi del suicidio. La stessa che inizialmente portò la magistratura spagnola ad archiviare il caso e a innescare la reazione dei genitori, papà Bruno e mamma Franca hanno sempre e solo chiesto giustizia per non uccidere Martina due volte. La Sorveglianza quindi ha il potere di decidere e di rigettare la richiesta di affidamento.

"Sono due delinquenti liberi: lo Stato dovrà pensare come evitare che facciano altri danni. E al di là dell’amarezza perché non faranno nemmeno il carcere, è la pena che è ridicola, tre anni e basta perché hanno mandato tutto prescritto. Ce ne sono talmente tante di responsabilità, a cominciare dalla Spagna", commenta papà Bruno che però, dopo 10 anni di battaglie è soddisfatto di aver trasformato la tragedia della sua Martina "in una bandiera, per voi donne e per tutti". I genitori pensano di chiedere il risarcimento dei danni: "Li daremo ai bambini palestinesi. Martina mi diceva sempre ’papà ne muoiono mille al giorno’".

E alla domanda sulle eventuali scuse Bruno si schermisce: "Mai chiesto scusa, a momenti mi chiedevano i danni e agli amici scrivevano ’Notti folli a Maiorca abbiamo lasciato il segno’". Il segno di una ragazza sul selciato, precipitata per sfuggire ad un’aggressione sessuale.