
Spezi, terzo da sinistra, sul luogo di uno dei delitti del Mostro (Pressphoto)
Firenze, 29 giugno 2021 - "Con Mario Spezi potevi discutere e scherzare su tutto, meno che sull’inquinamento e sul camuffamento della verità. Un’attitudine che pagò a caro prezzo, finendo anche in prigione". È il racconto di Giovanni Morandi, editorialista del “Quotidiano Nazionale”, già direttore de “Il Giorno”, “il Resto del Carlino” e “QN”, per lungo tempo inviato speciale.
«Sono stato assunto a La Nazione nel 1976 – racconta – e Mario era arrivato poco prima di me. Ci trovammo insieme in cronaca, a Firenze dove spiccava il suo naturale senso dell’ironia, una sorta di humor inglese che abbinava le battute a un certo, signorile, distacco. Era anche un artista. Realizzava caricature e disegni ai quali si dedicò moltissimo negli ultimi anni della sua vita, purtroppo breve. Amava la giudiziaria e la nera: il caso gli offrì l’occasione più straordinaria che potesse capitare a un giornalista italiano ovvero il giallo del Mostro di Firenze».

Una storia che ha affascinato moltissimi cronisti, oggi ma ancor più allora. «Non si riusciva mai a capire chi potesse essere l’autore di quei delitti – prosegue Morandi – chi stesse stroncando le vite di tanti innamorati nella stagione più bella dell’anno, nella stagione dell’amore. C’erano questa bellezza e questa limpidezza che contrastavano con l’oscurità della follia umana, con i pensieri di chi, evidentemente, trovava un piacere perverso nell’uccisione, nell’agguato, nell’interruzione della vita».
E Spezi, che di gialli era grande appassionato, non poteva certo restare indifferente. «Capì più e prima degli altri che quella del Mostro era una grandissima storia – spiega Morandi - ne fu talmente attratto che ne rimase coinvolto: ma sia chiaro che la sua unica colpa fu quella di voler sapere, di voler arrivare a individuare il colpevole di quei delitti tremendi. Gli costò tantissimo: finì anche in prigione per aver detto la verità, cercando di smascherare falsità e mistificazioni. Non si piegò comunque mai, ma si batté fino all’ultimo giorno, come era prevedibile da parte di un uomo non condizionabile e non incline ai compromessi».
Ma come visse Spezi le accuse e il carcere? «Molto male – conclude Morandi – fu per lui un momento di grande sofferenza e anche di solitudine, con la sola eccezione della famiglia e di pochi amici. In città però credo che nessuno abbia mai messo in dubbio che fosse vittima di un errore. Lui sosteneva che certe piste erano sbagliate e che altre portavano alla verità, tutto qui. La sua figura morale è sempre rimasta integra».