Monica Pieraccini
Cronaca

La storia dei manicomi in Italia, dalle origini fino alla loro abolizione con la legge Basaglia

Come vengono curati oggi i pazienti. In Toscana sono tre i Dipartimenti di salute mentale: a Firenze, Arezzo e Pisa

L’ex manicomio di Volterra

L’ex manicomio di Volterra

Firenze, 24 aprile 2023 – A mettere la parola fine sui manicomi è stata la legge Basaglia, del 13 maggio 1978, la prima al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici. Promossa dallo psichiatra e deputato della Democrazia Cristiana Bruno Orsini, ha preso il nome da Franco Basaglia, un altro psichiatra che nel 1961 iniziò a organizzare da Gorizia un movimento che aveva tra gli obiettivi la chiusura dei manicomi. Il professor Basaglia era convinto, infatti, che “il manicomio non serve a curare la malattia mentale, ma solo a distruggere il paziente”. Ma quando sono nati gli ospedali psichiatrici? E cosa è accaduto dal 1978 a oggi?

Le origini del manicomio

Gli ospedali psichiatrici esistevano già nel 1400, ma furono regolati per la prima volta nel 1904. Solitamente erano gli ordini monastici ed ecclesiastici, medici illustri o cittadini facoltosi a dare vita ai luoghi di contenzione dei malati psichici, dove spesso venivano inflitte vere e proprie torture. Ce ne erano anche in Toscana: a Firenze, dove nel 1750 era stato destinato ai folli, fino ad allora custoditi nell’Arcispedale di Santa Maria Nuova, l’erigendo Ospedale di Santa Dorotea, che iniziò a funzionare nel 1754, a Lucca, dove c’era lo Spedale dei pazzi di Santa Maria Fregionaja, a Siena, con il San Niccolò, gestito dalla Compagnia dei disciplinati nel 1818, l'Opv di Volterra, che nasce come frenocomio nel 1888.

Alcuni ospedali psichiatrici furono costruiti con il contributo di personaggi illustri, come la casa di cura Sbertoli di Pistoia, fondata nel 1868 da professor Agostino Sbertoli. Le 'Ville Sbertoli', come furono comunemente chiamate, vennero a costituire immediatamente una clinica privata che accoglieva da tutta Italia, garantendo un'opportuna riservatezza, malati provenienti da famiglie facoltose o comunque in vista, affetti non solo da ‘alterazioni di mente’, ma anche da altre malattie come l'epilessia, l'alcolismo, l'ipocondria. Si trattava insomma di persone ‘diverse’ che le famiglie di appartenenza volevano tenere nascoste. Ben presto la casa di cura divenne rinomata anche oltre confine e iniziò ad accogliere malati provenienti da tutti i paesi europei. Furono in cura nelle ’Ville Sbertoli’ personaggi di spicco del mondo culturale, come per esempio il poeta Severino Ferrari nel 1905 e nei primi anni 70 del Novecento il giurista Francesco Bonaini.

La legge del 1904

Nel 1902 fu Giovanni Giolitti a presentare al Senato un disegno di legge per regolamentare le strutture, basato su quattro punti fondamentali, ovvero: obbligo di ricovero in manicomio solo per i dementi pericolosi o scandalosi, ammissione solo dopo procedura giuridica, salvo casi d'urgenza, attribuzione delle spese alle provincie, istituzione di un servizio speciale di vigilanza sugli alienati. La legge fu approvata poi nel 1904 con alcune modifiche. Per esempio il malato poteva essere dimesso solo dopo un decreto del tribunale su richiesta del direttore del manicomio (al quale la legge attribuiva la piena autorità sul servizio sanitario, l'alta sorveglianza sulla gestione economica e finanziaria dei manicomi e il potere disciplinare) ed il ‘licenziamento in via di prova’, cioè una dimissione temporanea, concessa al malato che dimostrava miglioramenti. La legge, però, non considerava i bisogni e i diritti del malato e dava la possibilità alle autorità locali di ordinare il ricovero presso un manicomio di qualsiasi persona, bambini inclusi. Bastava una certificazione medica e l'urgenza. Venivano internati omosessuali, prostitute, donne che non erano ritenute in grado di fare le mogli e le madri, per esempio in quanto affette da depressione. I pazienti, che vivevano in condizioni igienico sanitarie precarie, venivano sottoposti a elettroshock, coma insulinico e sottoposti a sperimentazione di farmaci, come la cloropromazina, un antipsicotico.

L'epoca fascista

Con il codice penale fascista, cioè il codice Rocco, introdotto nel 1931, e fino al 1968, chi era internato in manicomio veniva iscritto nel casellario giudiziario. Durante il regime fascista, inoltre, molti dissidenti politici finirono nei manicomi e crebbe il numero degli internati, che passarono dai 60mila del 1926 ai 96mila del 1941.

La svolta della legge Basaglia

Terribili le condizioni delle persone rinchiuse nei manicomi, che erano ancora regolati di fatto dalla legge Giolitti del 1904. Nel 1978, quando la legge Basaglia li fece chiudere, erano 98 gli ospedali psichiatrici in Italia, dove erano rinchiuse oltre 89mila persone. La legge Basaglia nacque proprio con l’idea di superare l’esclusione sociale delle persone malate e curarle nella loro interezza familiare e culturale facendole uscire dallo stato di reclusione dei vecchi ‘manicomi’ e reinserendole invece nel tessuto sociale.Così, la riforma del settore psichiatrico prevista dalla legge 180 del 1978 venne  subito dopo inserita nella legge 833, sempre del 1978, che istituiva il servizio sanitario nazionale nel quale sono confluite tutte le strutture sanitarie preesistenti. Prima che però i manicomi fossero rimpiazzati sostanzialmente dall'attuale rete sanitaria dei servizi per la salute mentale sono trascorsi almeno vent'anni. I sei ospedali psichiatrici giudiziari, gli Opg, in cui si viveva come in manicomio, furono chiusi definitivamente solo nel 2017 (anche se le leggi sono del 2012 e del 2014). Ora sono attive le Rems, le residenze per le misure di sicurezza, strutture con non più di 20 posti letto. Alla luce anche dei recenti fatti di cronaca, e comunque da tempo, c’è chi chiede di rivedere il sistema assistenziale dei malati di mente, che spesso risultano abbandonati a loro stessi e in balìa della pericolosità delle loro azioni. 

Chi si occupa oggi dei malati mentali

Nel nostro Paese - dati del ministero - una persona su quattro ogni anno ha esperienza di un problema di salute mentale. In un anno i servizi specialistici del servizio sanitario nazionale assistono più di 850mila persone. In che modo? Il primo passo è rivolgersi al medico di medicina generale, che, se ravvede una situazione psicopatologica, può indirizzarla a cure specialistiche adeguate. Nel sistema pubblico il cardine dell'organizzazione territoriale, riguardo al trattamento di questi disturbi, è Il Dipartimento di salute mentale, Dsm, dotato di strutture e servizi che hanno il compito di farsi carico della domanda legata alla cura, all'assistenza e alla tutela della salute mentale nell'ambito del territorio definito dall'Azienda sanitaria locale. Oggi a livello nazionale i Dsm contano 29.785 operatori (dato 2021), ma sono sotto lo standard di 1 ogni 1.500 abitanti. Servirebbero almeno 11mila operatori in più. In Toscana sono tre i Dsm: a Firenze, ad Arezzo e a Pisa. Ogni Dsm è dotato di una serie di servizi: quelli per l'assistenza diurna, ovvero i Centri di salute mentale (Csm), quelli semiresidenziali, cioè i Centri diurni (cd) e i servizi residenziali, ovvero strutture residenziali distinte in residenze terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative. Ci sono inoltre i servizi ospedalieri, cioè i servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari e obbligatori in condizioni di ricovero, e i Day Hospital (Dh), area di assistenza semiresidenziale per prestazioni diagnostiche e terapeutico riabilitative a breve e lungo termine. Cliniche universitarie e case di cura private completano l'offerta di cura e assistenza.