
Una scena di 'Sex and the City 2' – Foto: Craig Blankenhorn/New Line Productions
Firenze, 6 ottobre 2019 - Single è bello? Macché. Soprattutto se si è donna. I numeri parlano. Ma non dicono tutto. Nella verità, finiscono per essere bugiardi. Una recente statistica dello Us Census Bureau americano rivela che la metà delle donne tra i 25 e i 44 anni è single. E anche in Italia siamo un pezzo in là. Il peso specifico delle famiglie mononucleari - come statistici e demografi classificano, quasi in un ossimoro, le persone che vivono da sole - ha ormai superato la soglia del 31% ed è in crescita costante. Con un boom del 13% dal censimento del 1971. Sono quasi 8 milioni, al 58% donne e in maggioranza over 45. In Europa 16 Paesi ci superano. E se la Toscana non fa eccezione, Firenze, dopo Milano, è la capitale dei single. Nel capoluogo toscano 90mila persone vivono per conto proprio, contro il doppio delle coppie sposate su circa 380mila residenti, a Milano i single superano addirittura il 50%.
A Firenze le famiglie composte da un solo membro sono concentrate nel centro storico, dove costituiscono il 60% della popolazione residente, prevalentemente sono giovani. Ma tra chi vive solo ci sono le vedove over 65, le single di ritorno (separate o divorziate) e le donne che non si sono mai sposate o che, in questo momento, non sono accompagnate.
C’è una realtà di fatto inconfutabile: le solitudini aumentano a ogni latitudine. E si oppongono, da una parte al mancato sviluppo in questa direzione di politiche sociali e fiscali che continuano a penalizzare chi è solo, dall’altra a una nuova forma di razzismo strisciante ma ben visibile battezzato col termine anglofono singlism. Ovvero? La singletudine può essere percepita come autentico difetto sociale. E la donna sola, soprattutto dopo i 35-38 anni, comincia a essere guardata con un misto di sospetto e compatimento. Per la signorina che comincia a mostrare qualche ruga lo stigma sociale esiste ancora, eccome. Tutto ciò a dispetto della realtà individuale vissuta dalle donne che hanno scelto o si sono trovate, per una serie di motivi, a restare per un periodo più o meno lungo, senza partner a fianco. E a dispetto anche di un bel po’ di sondaggi e studi sulla salute psichica. La recente indagine svolta in Inghilterra da Mintel, una società di ricerche di mercato di Londra, per esempio fornisce un bel paio di lenti a chi ha gli occhi pigri per leggere: il 75 per cento delle donne sole, contro il 70 per cento degli uomini, ha dichiarato di non aver fatto nulla per attirare un partner nell’ultimo anno. E il 61 per cento delle donne ritiene di essere più felice così, contro il 49 per cento degli uomini. Secondo Paul Dolan, docente di Scienza del comportamento alla London School of Economics and Political Science e autore di “Happy Ever After”, un libro in cui vengono smantellati alcuni miiti comuni sulle fonti della felicità, le classiche zitelle che non hanno figli dovrebbero essere considerate la fonte della felicità anziché involontarie attrattrici di sguardi commiseranti. Dolan ritiene anche che mentre per un uomo sposarsi sia un vantaggio, per la donna valga il contrario: capace di badare a sé, può dedicarsi con più tempo e soddisfazione alle proprie passioni. Anche la vita sessuale delle single sembra essere parecchio più vivace. Ma al netto di giudizi individuali, l’aumento del fenomeno della famiglia unipersonale è sicuramente uno spunto interessante per approfondire riflessioni sulla società di oggi e del futuro. Alle affermazioni dello psicanalista Umberto Galimberti che definisce la singleness “il trionfo dell’egoismo” in un tempo in cui le persone non sarebbero più in grado di prendersi la responsabilità di una famiglia con negative ripercussioni sulla società, sempre più “atomistica e individualista”, il professore di sociologia dell’Università di Firenze, Alessandro Pratesi risponde che l’evidenza mostra un cambiamento della società cui non corrisponde, al momento, uno scatto in avanti della cultura.
“Credo che lo stigma, il giudizio negativo, l’etichettatura nei confronti delle donne sole ci sia sempre stato - dice Pratesi - La single viene vista con sospetto: più che generare domande genera risposte, e cioè che nessuno se l’è presa. Mentre all’uomo, cui pure possono essere attribuiti giudizi anche impropri di immaturità, non viene consegnato il cartellino dell’insuccesso”. Alla base dello stigma ancora l’archetipo della famiglia tradizionale in cui c’è ancora “la coppia come indicatore del successo personale”. “All’origine della discriminazione - conclude il prof Pratesi - la diversità che, ogni sua forma, fa paura e dà fastidio sino a suscitare forme collettive di disapprovazione e risentimento”. Del dating e della vita frizzante in un frullatore d’incontri, amori e giochi proibiti di Sex and the City è rimasto poco o niente. Gli anni Novanta che dopo le lotte femministe affermavano la donna manager, padrona di se stessa e pronta a mangiarsi il mondo, anche in un Paese come il nostro, fondamentalmente gerontocratico e a forte impronta maschile, sembrano essersi persi in un pantano. La cultura cresce anche con la lotta, è il pensiero del sociologo Pratesi, quindi le donne per conquistarsi la libertà di essere sole e felici, liberandosi degli sguardi pietosi quando si presentano senza partner al ristorante, a un cinema o, peggio ancora, a una festa, è ricominciare a combattere.
“E’ mancata l’unione femminile, non è un mistero che in passato tante conquiste delle donne siano state raggiunte grazie ai movimenti femministi”, dice Pratesi. Battaglie alle quali ci aspetteremmo partecipassero anche gli “uomini di buona volontà, e qualcuno c’è”.