PIER FRANCESCO DE ROBERTIS
Cronaca

La città di Francesco

L'editoriale del direttore de La Nazione

Pier Francesco De Robertis, direttore della "Nazione"

Firenze, 10 novembre 2015 - Molto prima che Francesco fosse Francesco, Firenze fu già Firenze. La misericordia che campeggia nel bellissimo stemma papale di Bergoglio, miserando atque eligendo («ne ebbe misericordia e lo chiamò») e che rappresenta la parola chiave del pontificato argentino è la più bella espressione del medioevo fiorentino, quella strepitosa esperienza di umana compassione che prima al mondo dette origine alle confraternite ancora oggi esistenti. Gli altri facevano le crociate o perseguitavano i catari, qui si andava già nelle periferie a soccorrere gli indigenti.

La grande epopea rinascimentale che fece di Firenze una delle capitali universali è intrisa del vissuto pienamente umano che l’aveva preceduto, e probabilmente senza le Madonne della Misericordia che popolano le chiese della Toscana, così percettibilmente compassionevoli, il più bel dipinto del mondo, la Resurrezione di Piero, non commuoverebbe il passante come accade a chi oggi vi si para davanti. Francesco arriva quindi in una città e in una terra che della Misericordia ha antica memoria, e riprende il filo di un discorso che dai giorni lontani fino a oggi non si è mai interrotto.

Basta pensare a don Milani, prete di periferia quasi coetaneo di Bergoglio, tanto simile a quei sacerdoti di strada comuni nella favelas del sudamerica e a cui Francesco vuole che tutti i preti assomiglino. Tra pochi mesi Francesco canonizzerà don Helder Camara, il vescovo che diceva «se dò da mangiare a un povero mi definiscono santo, se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare mi chiamano comunista», e in fondo con la stessa logica potrebbe fare lo stesso pensiero sia sullo stesso don Milani sia per gli altri giganti del pensiero cattolico del Novecento nati e cresciuti sotto il Cupolone.

Giorgio La Pira andava in parlamento con il cappotto rigirato, non proprio come i cardinali che oggi frequentano l’esclusiva sartoria Gammarelli dietro al Pantheon. Firenze è così il luogo ideale dal quale il papa può chiedere alla Chiesa italiana di «uscire dalle stanze in cui ci siamo chiusi», come il cardinale Bergoglio intimò durante le congregazioni generali che precedettero il conclave del 2013 e che probabilmente convinsero gli altri cardinali a seguirlo.

Sarà un invito che coglie i vescovi e i cardinali in un momento difficile, all’indomani di un sinodo che di fatto ancora non si è concluso, di un pontificato che cerca la svolta decisiva, di un popolo di Dio ancora confuso dal fumo degli scandali che si alza dai palazzi vaticani. I leaks che uscivano giornalmente tre anni fa provocarono sconcerto tra la gente, quelli di adesso - non meno gravi - uniranno i fedeli ancora di più al papa. Perché stavolta, rispetto a tre anni fa, c’è una differenza sostanziale: la gente sta col papa. Le centomila persone che oggi tra Firenze e Prato lo accoglieranno stanno lì a dimostrarlo.

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