Commisso: "Il nuovo stadio? Qualcuno a Firenze vuole fare soldi con i soldi di Rocco"

Il presidente della Fiorentina: "All’inizio ero il dio della città, ora c’è chi ha deciso di chiamarmi Attila. In politica sono conservatore, ho l’orgoglio dell’italoamericano. Chiesa? Un ragazzino. Iachini ha la mia fiducia ma deve fare risultati"

Rocco Commisso è presidente della Fiorentina dal giugno 2019

Uno dei meeting durante i quali il sindaco Nardella ha illustrato al patron viola Rocco Commisso le potenzialità dell’area Mercafir

Firenze, 17 ottobre 2020 - L’ultima volta che ci avevo parlato faccia a faccia era un anno fa, o poco più. Rocco Commisso era appena diventato presidente della Fiorentina, di lui in giro si vedevano solo foto e video con bagni di folla, sorrisi, selfie, baci e abbracci. «Ti ricordi che ero il dio di Firenze?». Mi ricordo. «Oggi, mi chiamano Attila». 

Hai detto che volevi distruggere lo stadio Franchi.  «Ma qui le parole vengono usate in modo strano». Durante l’intervista, in una sala riservata dell’Hotel Excelsior accanto alla chiesa di Ognissanti – lungo tavolo lucido, pareti imbottite di pelle color tortora – usiamo reciprocamente il tu per comodità linguistica. «Ho migliorato l’italiano, eh? Ma continuo a non essere capito bene. Pensa che in America Biden ha detto che è disgustato da Trump, disgusted, e nessuno ha fiatato. Io ho detto per la partita Juventus-Fiorentina che sono disgustato dagli arbitri: ohhh... è stato il finimondo. Il fatto è che a Firenze siete bravi a fare i monday morning quarterback. Lo sai che significa? Significa che siete i critici del giorno dopo: criticano tutti, ma dopo. Così è troppo facile».

Ti sei mai pentito di essere venuto a Firenze? «No, no». Commisso sorride: «Oddio, forse per un minuto. Ma no, e ancora no: sono felice di essere qui, è la mia ultima impresa, questa». 

Un anno fa sembrava che tu potessi realizzare tutto quello che dicevi, e subito. Oggi ci credi ancora che riuscirai a fare lo stadio? «Si devono vedere i tempi. Quando sono arrivato mi dicevano che ero superman, oggi che faccio... caciara. Ma cosa significa caciara?».  

Significa che fai confusione. «Ecco».

Alla fine qualcuno ha il sospetto che tu lo stadio non voglia costruirlo davvero. «Il punto è che forse questo qualcuno vorrebbe che io dicessi: ok, ti do i soldi e con quei soldi fai quello che vuoi tu. Ma questo non succederà: coi soldi miei faccio come dico io».

L’ipotesi di ristrutturare il Franchi ti piace? «Era la mia prima idea, ti ricordi? Ma io ora dico: lo stadio è di proprietà dello Stato da 90 anni, e dunque possono prendere i soldi dallo Stato e ristrutturarlo, se vogliono. Per me è pure meglio. Ma perché hanno aspettato Rocco per dire che devono ristrutturarlo? Perché non hanno fatto un concorso internazionale? Perché non hanno ingaggiato prima i vari Fuksas, i vari Renzo Piano per disegnare il progetto? Qui tutto è utile per criticare. Ma alla fine ho capito qual è il punto a cui vogliono arrivare».

E qual è? «Questo: ora qualcuno vuole rifare il Franchi con i soldi di Rocco, ora qualcuno ha interesse non solo a controllare Rocco, ma anche a guadagnare coi soldi di Rocco».

Dici che ti vogliono usare? «No, vogliono che altri prendano decisioni al posto mio».  

Ti riferisci alla vicenda Mercafir? «La Mercafir! Allora: ci sono stati molti meeting su Mercafir, e di Mercafir in questa città se ne parlava già da 15 anni. Io volevo seguire le regole come ho sempre fatto, ma credevo fosse tutto pronto. E invece non era pronto niente. La Mercafir è stata solo una grande perdita di tempo».

Si sono rotti i rapporti, da quel momento, con Palazzo Vecchio? «Non è che si è rotto qualcosa, è che io da quel momento ho imparato qualcosa. E cioè che qui per fare ci vuole tempo, pure quando trovate qualcuno che ha soldi da investire».

Ma davvero non sapevi come funzionano le cose in Italia? «Come potevo sapere che avevate lavorato 15 anni su un progetto irrealizzabile come Mercafir? È un problema di sostanza, di mentalità. Ricordo quando portai i miei ragazzi in gita su un battello a New York, a vedere la skyline. La nuova skyline è stata costruita e ricostruita di continuo negli ultimi vent’anni. E allora: voi dite che io critico troppo. Io invece dico che voi non criticate abbastanza, e vi accontentate. Non bisogna distruggere le bellezze di Firenze, ma se qualcuno sostiene che lo stadio Franchi è un altro Ponte Vecchio, allora non ci sto: questo scusatemi (e non sono architetto, non sono archeologo, io non so niente), non si può sentire».

Non hai rinunciato alla possibilità di fare lo stadio a Campi Bisenzio. Ma non temi che i fiorentini si possano offendere? «I tifosi o i fiorentini? Mah, forse si offenderanno i cinquemila architetti che ci sono a Firenze e che non lavorano: mi hanno detto che sono cinquemila. Di sicuro c’è molta invidia in questa città. E ci sono anche molti ricchi, ma che non si sono fatti da soli, e che le loro ricchezze le hanno ereditate dal papà, dal nonno».

Non ti aspettavi niente di tutto questo, un anno fa? «Non mi aspettavo, e lo dico davvero, così tanta attenzione su di me: il nome di Rocco è usato ogni giorno, ogni ora, e non sempre bene, ok? Al tempo stesso vedo che la stragrande maggioranza dei tifosi è con noi».

Come sono oggi i tuoi rapporti con il Comune? «Io sono buono con tutti e sono molto trasparente, forse troppo, questa è stata la vita mia. Io le cose le dico in faccia. Non accetto gente che critica alle spalle. Poi, se le critiche sono giuste, me le prendo: ma chi mi critica deve sapere che non ho paura di dare le risposte che merita».

E c’è una critica giusta che ti hanno fatto? C’è qualcosa che senti di avere sbagliato in questo anno? «Io devo prendere il good with the bad, il bene con il male. Quando sei un businessman questo succede in continuazione: alcune cose mi sono andate bene, altre meno bene. È il business, ed è anche la vita».

I tuoi critici dicono che non vuoi rispettare le regole italiane, che fai finta di non conoscerle, e che della Fiorentina ti importa il giusto, che vuoi solo fare business. «Ma vedi, nessuno mi critica in faccia: davanti a me nessuno osa, perché io ho le risposte, you know? A me piace che mi si guardi in faccia, a me piace litigare anche, ma sono leale e voglio persone leali. Dicono: il grande sbaglio di Rocco è stato non mandare Montella via, ma come potevo non riconfermare Montella? Ha tre anni di contratto a 1,8 milioni di euro netti. E poi criticano, criticano, ma nessuno ha speso per la Fiorentina e in così poco tempo nel calcio italiano quanto ho speso io. Siate onesti, siete onesti? Se dite che non ho speso siete bugiardi. Ho comprato la Fiorentina in tre settimane. Siamo arrivati a 70 milioni di ingaggi, compreso lo staff tecnico e atletico. Rocco ha comprato, e se qualcuno dice che non ho fatto niente per la Fiorentina deve guardare i dati, i costi: 40% in più di un anno e mezzo fa. In totale oltre 300 milioni con il nuovo centro sportivo di Bagno a Ripoli, prima proprietà della società viola nella sua storia. Nessuno ha fatto questa rivoluzione in così poco tempo. Ora tutti dicono che devo spendere i soldi di Chiesa, ma ancora non ho preso niente di questi soldi».

Con Chiesa vi siete sentiti negli ultimi giorni? «No».

Ci sei rimasto male? «Io Chiesa l’ho chiamato durante il lockdown, a Chicago sono andato a incontrarlo per la prima volta ed è stato con me nella suite: io l’ho trattato come un figlio, e lui nei confronti miei, della mia famiglia, dei lavoratori, non ha fatto la cosa giusta. È un ragazzo, quindi lasciamo stare questo argomento, ok?».

Quali sono state le cose non giuste? «Prima ci hanno condizionato sulla squadra a cui avremmo dovuto venderlo: in Inghilterra lui non voleva andare, e in Italia voleva la Juve, che lo sapeva. Quando ci sono solo one buyer and one seller, solo un compratore e un venditore, la situazione non è ottimale. E io ho dovuto accontentarlo anche per fare una scelta giusta di business. In America c’è un detto: anche se vai via, non rompere mai i ponti. Hai capito? Questo hanno insegnato a me 50 anni fa. E questo è l’unico modo per diventare un leader».

E Iachini?  «Iachini cosa?».  

Resterà? «Ecco l’altra bufala che gira. Allora: Iachini ha il massimo supporto da me, da Joe (Barone, ndr), da Pradè. Lui lo sa, e lui è l’allenatore. Gli ho detto che con la Sampdoria abbiamo fatto schifo, e lui sa che qui i risultati contano. Ma ha la nostra fiducia».

È sotto esame? «Siamo tutti sotto esame, tutti, pure io sono sotto esame».  

Qual è il ricordo più bello di questo anno e mezzo? «I tifosi, le serenate al Savoy, il primo giorno al Duomo, il mio regalo del Centro Sportivo».  

E come squadra? «Ci sono stati up and down, e poi dopo c’è stato il Covid».  

Ma la tua azienda è andata meglio nei mesi della pandemia. «Mediacom lavora con la banda larga, e quindi sì: è stato un periodo molto buono per i nostri affari».  

Hai paura del Covid? «Rocco non ha paura, per sé. Per gli altri magari. Ma non sono sciocco: ho fatto anche io il lockdown, con mia moglie, nella casa del New Jersey».  

A Firenze riesci a sentirti un po’ a casa? «Beh, è qui che lavoro. Ormai quando torno in America vado in vacanza, perché lì mi lasciano in pace, lì non mi riconosce nessuno».  

Com’è oggi l’America con la pandemia? «Manhattan è deserta, è distrutta: tutto chiuso, tutti che vogliono andare via. Anche la politica ha le sue colpe».

Sei un trumpiano? Commisso sorride. «Sono un conservatore, come la stragrande maggioranza degli italoamericani. Hai in mente tutte le statue di Colombo che hanno buttato giù nei mesi scorsi, in America? I Democratici non hanno detto niente, hai capito? Ma per me, che sono un immigrato, che so cosa significa essere un immigrato, veder cadere quelle statue è stato un colpo al cuore».

Hai preso due lauree, ingegneria e Mba in Economia e commercio. Hai studiato alla Columbia University, l’università frequentata dieci anni dopo da Obama. «Sai quanti articoli mi fecero nel giornale dell’università? Cinquanta. Sai quanti ne fecero a Obama? Nessuno (e sorride, ndr). Sono andato all’università con una borsa di studio che ho vinto proprio perché giocavo in una squadra di calcio. L’università mi ha dato tanto, ma io le ho restituito tanto». 

Ti sei preso un po’ di rivincite. «È la storia della mia vita. Tante volte da immigrato mi sono trovato ad avere a che fare con chi pensava di valere più di me, solo perché io sono un immigrato italoamericano. Ma poi di loro non si è saputo più nulla, mentre io sono qui con la mia grande famiglia che tra Mediacom e Fiorentina conta quasi cinquemila persone».

Cosa vuole fare da grande Rocco Commisso? «Vincere qualcosa qua. È la mia ultima impresa, la mia ultima sfida. Non ho fallito mai, you know, hai capito?».