Il Coronavirus 'infetta' anche comunicazione e informazione: le fake news

L’intervista sul tema a Benedetta Baldi, Professore ordinario presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Firenze e Presidente del Corso di Studio in Scienze umanistiche per la Comunicazione

Professoressa Benedetta Baldi, Università di Firenze

Professoressa Benedetta Baldi, Università di Firenze

di ANDREA MUCCI

 

 

Firenze, 19 maggio 2020 – Parliamo di “notizie tossiche” sempre più numerose, soprattutto sui social network e nelle piattaforme di messaggistica istantanea, con un’esperta in comunicazione: la Professoressa Benedetta Baldi.

1) In questo tempo di Coronavirus le fake news sembrano ‘spopolare’ in rete. Come Lei nota nel suo libro "#Opinione Immediata" – citando i Protocolli dei Savi di Sion - il ricorso a notizie false è sempre esistito. Certo che oggi il fenomeno ha assunto caratteri ed effetti ben più estesi che in passato. Quali le cause?

 

“Possiamo vedere nelle fake news un sintomo della crisi dell’universo cognitivo, delle credenze e dei valori condivisi di gruppi sociali, un mezzo volto a contrastare ciò che viene sentito come la struttura culturale, politica e scientifica sottesa al potere. In Italia, esempi recenti riguardano l’immigrazione o la questione dei vaccini e ora, naturalmente, la situazione legata al Coronavirus. La natura autoreferenziale dei blog favorisce contenuti altrimenti non espressi fuori dal web, con richiami espliciti a frame associati al razzismo, all’omofobia, alla misoginia, all’odio raziale: orientali, cinesi, immigrati ed ebrei appaiono oggetto di odio e di sospetti anche in riferimento al Coronavirus. Le fake news relative al Covid-19 danno luogo ad una sorta di narrazione aumentata della realtà proposta dai media - come nel caso delle fake news sulla sospensione dell’anno scolastico o di quelle su false denunce di contagiati. In questo senso, mirano a smascherare minacce nascoste, ad esempio il contagio degli animali domestici o la pericolosità dell’ibuprofene, o promuovono cure che sarebbero sottaciute dai media istituzionali, come la tachipirina, gli antibiotici, il sorso di candeggina, in un misto di falsa credulità e di ideologica messa in discussione delle conoscenze scientifiche. Nel caso della pandemia, quindi, le fake news si inseriscono in un clima di insicurezza e di paure globali e incalcolabili, quel paradigma della paura che Bauman vede come sotteso alle nostre società occidentali. La paura modifica le condizioni di verità delle narrazioni generando una ricezione emotiva dei fatti e dei dati sulla quale agisce tutto ciò che chiamiamo post-verità o pseudo-verità, cioè la narrazione alternativa e ammiccante allo sforzo di liberarsi della fatica della conoscenza”.

 

2) Le ‘fonti tossiche’ che sul web oggi speculano sul Covid-19 – come la teoria della sua nascita in laboratorio – rischiano di modificare il nostro rapporto con la medicina e il nostro approccio al metodo scientifico. Come salvarsi, a livello individuale e collettivo, da questa pandemia informativa?

   

“Per definire il tipo di informazione che si è scatenato intorno alla pandemia da Coronavirus, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha adottato il termine infodemia, dall’inglese infodemic, usato inizialmente nel 2003 da Rothkopf in un articolo sul Washington Post per riferirsi all’incontrollata comunicazione che imperversò sui media all’epoca della SARS, con effetti critici per le economie, la politica e le condizioni di sicurezza delle società. Questo effetto è stato moltiplicato dall’enorme potere dei nuovi media, all’interno di un processo comunicativo, istituzionale e mediatico che è stato a sua volta ansiogeno, orientato ad un controllo sociale percepibile. La rappresentazione di un nemico invisibile evocato attraverso immagini allarmanti relative alle zone rosse, ai reparti di terapia intensiva, con malati intubati e medici e infermieri in preda a reazioni nervose, le metafore belliche (trincea, soldati, guerra, tregua) utilizzate, hanno rafforzato i frame della paura e dell’insicurezza. Una comunicazione, quindi, fortemente giocata su valori millenaristici, di un grande e sconosciuto cambiamento, per cui intellettuali e psicologi hanno parlato di un futuro nel quale niente sarebbe più stato come prima; la prevista decrescita economica ha contribuito a prefigurare un mondo diverso, problematico per molti. Le prime pagine dei quotidiani hanno favorito una comunicazione emotiva, spesso conativa, ad es. ‘Tutti in casa’, ‘Non basta ancora’, ‘Non c’è tregua’, ‘Resisti Milano’ (La Repubblica, 10, 11, 13 e 20 marzo), o evocativa ‘Contagi e morte: il morbo è tra noi’ (Il Resto del Carlino, 22 febbraio). Nelle TV e sui social lo spettacolo ha offerto alla percezione immediata del telespettatore una narrazione nella quale attori, influencer, cantanti, politici e scienziati hanno creato un livello virtuale di esistenza, attivando le scorciatoie cognitive associate ai frame di emergenza, pericolo e sopravvivenza, ispirando una sorta di oscura e imprecisata autoaffermazione”.

 

3) In un’epoca in cui internet veicola ogni tipo di messaggio o notizia di cui è difficile garantire veridicità e correttezza, in cui “tutti sanno tutto”, come informarsi sul web?

 

“Sia il Ministero dell’Interno che quello della Salute hanno siti dedicati all’individuazione e demistificazione delle fake news, che in questo periodo permettono un controllo puntuale della veridicità delle tante pseudo-informazioni che girano su internet. Alcune piattaforme hanno cominciato ad applicare misure contro le fake news ricorrendo a debunker, come Facebook, sospendendo account, come Twitter nel caso di del blog Zero Hedge, che aveva diffuso la post-notizia che il virus era stato programmato da un laboratorio cinese, a rinviare all’OMS per parole come ‘coronavirus’ (TikTok) o a dirigere gli utenti USA al sito Disease Control and Prevention (Twitter). In generale, i social scelgono di dirigere gli utenti verso siti istituzionali o di smentire. La comunicazione istituzionale ha scelto toni sobri ma sostanzialmente allarmati e inquietanti nel ritmo martellante e nel carattere pervasivo e indirizzato alla persona fisica. Esperti – virologi, immunologi, epidemiologi – si sono alternati nelle interviste in TV e sulla stampa, nei talk show sui social con i loro pareri ma anche con le loro caratteristiche emotive e comportamentali, in un susseguirsi di informazioni ma anche di differenze di giudizio, contribuendo al senso di incertezza. L’intera comunicazione ha risentito di un disagio generale legato al fatto che negli esseri umani l’interazione in presenza e il coinvolgimento attivo sono essenziali dal punto di vista cognitivo e nel favorire una corretta lettura delle informazioni”.

 

4) Quanto è importante l’atteggiamento responsabile dei politici sul tema delle notizie false e allarmanti, ossia che queste non siano utilizzate dagli stessi per una facile propaganda?

 

Digital divide e knowledge gap sono due condizioni ben note agli studiosi di comunicazione che ci ricordano che le persone non sono tutte uguali di fronte ai mezzi di comunicazione. La formazione culturale e l’educazione ricevuta portano a una diversa capacità di interpretare i contenuti introdotti dai diversi mezzi di comunicazione. In più, il digital divide separa chi può e sa accedere ai dispositivi digitali e chi non è in grado di farlo. Coloro che non sanno interpretare ciò che viene espresso nei media si affideranno a una lettura letterale, quindi inappropriata, alle loro personali implicature esperienziali (la egocentric bias), eventualmente inadeguate, o alle suggestioni più oscure e emotive. Come ricordano alcuni, sotto l’apparente richiamo all’unità del corpo sociale (si pensi al canto dell’Inno di Mameli, agli appuntamenti sui balconi, alle bandiere esposte), la pandemia ha coinvolto le differenze di conoscenza e di capacità critica e le differenze materiali tra le persone. Questo si è riflesso anche nel tipo di fake news, alcune di chiara impronta ideologica sovranista o di estrema sinistra, come quelle complottiste, che attribuiscono la diffusione del virus alle grandi multinazionali farmaceutiche, agli interessi oscuri di Bill Gates, a un piano per la pandemia (Plandemic) nell’interesse dei ricchi. La clorochina, il farmaco antimalarico, è stato contrapposto agli interessi delle multinazionali che ne metterebbero a tacere l’efficacia, sostenuta dai gilet gialli e dall’universo anti-establishment. Il cortocircuito tra i media e il grado di verità dell’informazione diviene evidente con i social network in quanto rendono l’espressione incondizionata di idee, convinzioni e notizie alla portata del singolo individuo. Per Frank Furedi la paura è culturalmente definita e nelle nostre società riflette un timore pervadente, atomizzato. È una risorsa culturale per le ideologie, strumento di potere politico: ora tutti la possono usare e manipolare tramite i social”.

5) Dobbiamo tornare a fruire di un’informazione fedele alla verità dei fatti, basata su fonti certe. Il cittadino a chi deve guardare in definitiva per una buona informazione?

 

“Penso che il cittadino debba fare affidamento sulle sue conoscenze e competenze, solo queste gli garantiranno un accesso critico a ciò che circola online e la capacità di orientarsi e di capire. Un’informazione fedele è un obiettivo, una meta sicuramente da perseguire ma difficilmente realizzabile. Certo esistono il Codice deontologico dei giornalisti e l’etica professionale che entro certi limiti guidano l’attività giornalistica, ma le fake news e l’hate speech non sono generalmente opera di giornalisti, ovviamente, ma di persone animate da interessi del tutto diversi. L’educazione è essenziale per sviluppare conoscenza e spirito critico, unici veri antidoti, insieme agli strumenti giuridici e tecnologici, per contrastare la disinformazione e la distorsione della realtà. È solo apprendendo, cioè attivando la ricca dotazione cognitiva che caratterizza gli esseri umani fin dalla nascita, che possiamo sviluppare conoscenze e abilità di comprensione che, sole, ci permettono di decodificare le esperienze e le rappresentazioni della realtà che ci vengono offerte dai media”.

 

 

 

 

 

Firenze, 19 maggio 2020 – Parliamo di “notizie tossiche” sempre più numerose, soprattutto sui social network e nelle piattaforme di messaggistica istantanea, con un’esperta in comunicazione: la Professoressa Benedetta Baldi.   

In questo tempo di Coronavirus le fake news sembrano ‘spopolare’ in rete. Come Lei nota nel suo libro "#Opinione Immediata" – citando i Protocolli dei Savi di Sion - il ricorso a notizie false è sempre esistito. Certo che oggi il fenomeno ha assunto caratteri ed effetti ben più estesi che in passato. Quali le cause?

“Possiamo vedere nelle fake news un sintomo della crisi dell’universo cognitivo, delle credenze e dei valori condivisi di gruppi sociali, un mezzo volto a contrastare ciò che viene sentito come la struttura culturale, politica e scientifica sottesa al potere. In Italia, esempi recenti riguardano l’immigrazione o la questione dei vaccini e ora, naturalmente, la situazione legata al Coronavirus. La natura autoreferenziale dei blog favorisce contenuti altrimenti non espressi fuori dal web, con richiami espliciti a frame associati al razzismo, all’omofobia, alla misoginia, all’odio raziale: orientali, cinesi, immigrati ed ebrei appaiono oggetto di odio e di sospetti anche in riferimento al Coronavirus. Le fake news relative al Covid-19 danno luogo ad una sorta di narrazione aumentata della realtà proposta dai media - come nel caso delle fake news sulla sospensione dell’anno scolastico o di quelle su false denunce di contagiati. In questo senso, mirano a smascherare minacce nascoste, ad esempio il contagio degli animali domestici o la pericolosità dell’ibuprofene, o promuovono cure che sarebbero sottaciute dai media istituzionali, come la tachipirina, gli antibiotici, il sorso di candeggina, in un misto di falsa credulità e di ideologica messa in discussione delle conoscenze scientifiche. Nel caso della pandemia, quindi, le fake news si inseriscono in un clima di insicurezza e di paure globali e incalcolabili, quel paradigma della paura che Bauman vede come sotteso alle nostre società occidentali. La paura modifica le condizioni di verità delle narrazioni generando una ricezione emotiva dei fatti e dei dati sulla quale agisce tutto ciò che chiamiamo post-verità o pseudo-verità, cioè la narrazione alternativa e ammiccante allo sforzo di liberarsi della fatica della conoscenza”.            

Le ‘fonti tossiche’ che sul web oggi speculano sul Covid-19 – come la teoria della sua nascita in laboratorio – rischiano di modificare il nostro rapporto con la medicina e il nostro approccio al metodo scientifico. Come salvarsi, a livello individuale e collettivo, da questa pandemia informativa?

“Per definire il tipo di informazione che si è scatenato intorno alla pandemia da Coronavirus, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha adottato il termine infodemia, dall’inglese infodemic, usato inizialmente nel 2003 da Rothkopf in un articolo sul Washington Post per riferirsi all’incontrollata comunicazione che imperversò sui media all’epoca della SARS, con effetti critici per le economie, la politica e le condizioni di sicurezza delle società. Questo effetto è stato moltiplicato dall’enorme potere dei nuovi media, all’interno di un processo comunicativo, istituzionale e mediatico che è stato a sua volta ansiogeno, orientato ad un controllo sociale percepibile. La rappresentazione di un nemico invisibile evocato attraverso immagini allarmanti relative alle zone rosse, ai reparti di terapia intensiva, con malati intubati e medici e infermieri in preda a reazioni nervose, le metafore belliche (trincea, soldati, guerra, tregua) utilizzate, hanno rafforzato i frame della paura e dell’insicurezza. Una comunicazione, quindi, fortemente giocata su valori millenaristici, di un grande e sconosciuto cambiamento, per cui intellettuali e psicologi hanno parlato di un futuro nel quale niente sarebbe più stato come prima; la prevista decrescita economica ha contribuito a prefigurare un mondo diverso, problematico per molti. Le prime pagine dei quotidiani hanno favorito una comunicazione emotiva, spesso conativa, ad es. ‘Tutti in casa’, ‘Non basta ancora’, ‘Non c’è tregua’, ‘Resisti Milano’ (La Repubblica, 10, 11, 13 e 20 marzo), o evocativa ‘Contagi e morte: il morbo è tra noi’ (Il Resto del Carlino, 22 febbraio). Nelle TV e sui social lo spettacolo ha offerto alla percezione immediata del telespettatore una narrazione nella quale attori, influencer, cantanti, politici e scienziati hanno creato un livello virtuale di esistenza, attivando le scorciatoie cognitive associate ai frame di emergenza, pericolo e sopravvivenza, ispirando una sorta di oscura e imprecisata autoaffermazione”. 

In un’epoca in cui internet veicola ogni tipo di messaggio o notizia di cui è difficile garantire veridicità e correttezza, in cui “tutti sanno tutto”, come informarsi sul web?

“Sia il Ministero dell’Interno che quello della Salute hanno siti dedicati all’individuazione e demistificazione delle fake news, che in questo periodo permettono un controllo puntuale della veridicità delle tante pseudo-informazioni che girano su internet. Alcune piattaforme hanno cominciato ad applicare misure contro le fake news ricorrendo a debunker, come Facebook, sospendendo account, come Twitter nel caso di del blog Zero Hedge, che aveva diffuso la post-notizia che il virus era stato programmato da un laboratorio cinese, a rinviare all’OMS per parole come ‘coronavirus’ (TikTok) o a dirigere gli utenti USA al sito Disease Control and Prevention (Twitter). In generale, i social scelgono di dirigere gli utenti verso siti istituzionali o di smentire. La comunicazione istituzionale ha scelto toni sobri ma sostanzialmente allarmati e inquietanti nel ritmo martellante e nel carattere pervasivo e indirizzato alla persona fisica. Esperti – virologi, immunologi, epidemiologi – si sono alternati nelle interviste in TV e sulla stampa, nei talk show sui social con i loro pareri ma anche con le loro caratteristiche emotive e comportamentali, in un susseguirsi di informazioni ma anche di differenze di giudizio, contribuendo al senso di incertezza. L’intera comunicazione ha risentito di un disagio generale legato al fatto che negli esseri umani l’interazione in presenza e il coinvolgimento attivo sono essenziali dal punto di vista cognitivo e nel favorire una corretta lettura delle informazioni”.  

Quanto è importante l’atteggiamento responsabile dei politici sul tema delle notizie false e allarmanti, ossia che queste non siano utilizzate dagli stessi per una facile propaganda?

Digital divide e knowledge gap sono due condizioni ben note agli studiosi di comunicazione che ci ricordano che le persone non sono tutte uguali di fronte ai mezzi di comunicazione. La formazione culturale e l’educazione ricevuta portano a una diversa capacità di interpretare i contenuti introdotti dai diversi mezzi di comunicazione. In più, il digital divide separa chi può e sa accedere ai dispositivi digitali e chi non è in grado di farlo. Coloro che non sanno interpretare ciò che viene espresso nei media si affideranno a una lettura letterale, quindi inappropriata, alle loro personali implicature esperienziali (la egocentric bias), eventualmente inadeguate, o alle suggestioni più oscure e emotive. Come ricordano alcuni, sotto l’apparente richiamo all’unità del corpo sociale (si pensi al canto dell’Inno di Mameli, agli appuntamenti sui balconi, alle bandiere esposte), la pandemia ha coinvolto le differenze di conoscenza e di capacità critica e le differenze materiali tra le persone. Questo si è riflesso anche nel tipo di fake news, alcune di chiara impronta ideologica sovranista o di estrema sinistra, come quelle complottiste, che attribuiscono la diffusione del virus alle grandi multinazionali farmaceutiche, agli interessi oscuri di Bill Gates, a un piano per la pandemia (Plandemic) nell’interesse dei ricchi. La clorochina, il farmaco antimalarico, è stato contrapposto agli interessi delle multinazionali che ne metterebbero a tacere l’efficacia, sostenuta dai gilet gialli e dall’universo anti-establishment. Il cortocircuito tra i media e il grado di verità dell’informazione diviene evidente con i social network in quanto rendono l’espressione incondizionata di idee, convinzioni e notizie alla portata del singolo individuo. Per Frank Furedi la paura è culturalmente definita e nelle nostre società riflette un timore pervadente, atomizzato. È una risorsa culturale per le ideologie, strumento di potere politico: ora tutti la possono usare e manipolare tramite i social”. 

Dobbiamo tornare a fruire di un’informazione fedele alla verità dei fatti, basata su fonti certe. Il cittadino a chi deve guardare in definitiva per una buona informazione?

“Penso che il cittadino debba fare affidamento sulle sue conoscenze e competenze, solo queste gli garantiranno un accesso critico a ciò che circola online e la capacità di orientarsi e di capire. Un’informazione fedele è un obiettivo, una meta sicuramente da perseguire ma difficilmente realizzabile. Certo esistono il Codice deontologico dei giornalisti e l’etica professionale che entro certi limiti guidano l’attività giornalistica, ma le fake news e l’hate speech non sono generalmente opera di giornalisti, ovviamente, ma di persone animate da interessi del tutto diversi. L’educazione è essenziale per sviluppare conoscenza e spirito critico, unici veri antidoti, insieme agli strumenti giuridici e tecnologici, per contrastare la disinformazione e la distorsione della realtà. È solo apprendendo, cioè attivando la ricca dotazione cognitiva che caratterizza gli esseri umani fin dalla nascita, che possiamo sviluppare conoscenze e abilità di comprensione che, sole, ci permettono di decodificare le esperienze e le rappresentazioni della realtà che ci vengono offerte dai media”.