
Le truppe armate tedesche il 3 agosto 1944 sterminarono Cesarina Agar Mazzetti, Luce ed Anna Maria Einstein
Firenze, 8 maggio 2025 – Ottant’anni di dolore. Ottant’anni di attesa per ottenere un risarcimento che pare quasi un miraggio. “Non per vendetta ma per giustizia”: i discendenti delle vittime delle stragi nazifasciste di tutta la Toscana lo hanno ripetuto più volte come un mantra chiedendo un segno da parte delle istituzioni. E quei segni tanto agognati sembrano iniziare ad arrivare con una serie di sentenze che riconoscono agli eredi – talvolta ormai anzianissimi – dei caduti di quelle brutalità il diritto a essere risarciti per i danni morali legati al crimine di guerra. Per quanto riguarda l’Empolese Valdelsa tra le vittorie più importanti e significative c’è sicuramente il ristoro riconosciuto una manciata di giorni fa ai familiari di Carlo Castellani.
L’indimenticato bomber dell’Empoli calcio degli anni Venti fu catturato insieme ad altri ventidue civili nella sua casa di Montelupo Fiorentino (Firenze) il 7 marzo del 1944, in quella passata alla storia come “la notte dell’odio“. Si consegnò al posto del padre anziano, fu deportato a Mauthausen e poi nel sottocampo di Gunsen dove morì di stenti a soli 35 anni. Il Tribunale di Firenze ha riconosciuto alla famiglia, assistita dall’avvocato Diego Cremona, un ristoro di 400mila dal Fondo Draghi. Una sentenza simile a quella arrivata ieri a favore dei figli di Rolla Arrostiti, altra vittima di quel terribile rastrellamento in quanto membro del Comitato nazionale di Liberazione. Giustizia è stata fatta, intanto al primo grado di giudizio, inchiodando (idealmente) la Repubblica federale tedesca alle proprie responsabilità.
Il risarcimento negato
Le truppe armate tedesche, il 3 agosto del 1944, sterminarono Cesarina Agar Mazzetti, Luce ed Anna Maria Einstein, rispettivamente moglie e figlie dell’ingegner Robert Einstein, ebreo e cugino di primo grado dello scienziato Albert. La strage di Villa Il Focardo, a Rignano sull’Arno, fu commessa da circa venti militari, non appartenenti al 104esimo Reggimento Granatieri della Wehrmacht, presente in quel periodo nella zona di Reggello, ma a una squadra addestrata alla caccia agli ebrei, come erano appunto i quadri delle Ss o della Gestapo. In casa, al momento del blitz, c’erano anche la cognata, Seba Mazzetti, e le tre nipoti, Paola e Lorenza Mazzetti e Anna Maria Boldrini: dopo aver cercato Einstein dentro e fuori dalla villa, i soldati trucidarono moglie e figlie dell’ingegnere e, chiuse nella stanza accanto, loro furono costrette ad ascoltare i colpi di mitraglietta e le urla strazianti. Poi i tedeschi appiccarono il fuoco alla villa. Einstein, scampato all’esecuzione perché nascosto nei boschi, non si riprese mai da quella sciagura: cadde in una profonda depressione e il 13 luglio del 1945 pose fine alla sua vita inghiottendo 23 pasticche di tranquillanti.
A più di 80 anni di distanza da quella tragedia, una nuova sentenza squarcia il fronte giudiziario. Almeno sul versante civile. Eva Martina Krampen, nel giugno del 2023, ha infatti chiesto un risarcimento di 260mila euro e la condanna della Germania e dello Stato italiano – in forza del ’fondo Draghi’ istituito dal governo italiano per risarcire gli eredi delle vittime dei crimini nazisti – quali responsabili della morte della sua prozia Cesarina Agar Mazzetti, e le cugine di secondo grado Luce ed Anna Maria Einstein. Krampen è la figlia di Paola Mazzetti, una delle tre nipoti ’risparmiate’ nel ’44 dal plotone tedesco, cresciute fin da piccole (causa la morte della madre durante il parto) proprio dalla famiglia Einstein. Robert, prima di togliersi la vita, le nominò come eredi universali.
Ieri è arrivata la sentenza: per il giudice della seconda sezione civile, Susanna Zanda, il ricorso di Krampen, oggi 69enne, non può essere accolto in quanto la donna «non appare legittimata a richiedere i danni per la morte della pro zia e delle cugine di secondo grado per successione materna», ossia «adducendo che trattasi di un credito della madre per danno parentale trasmesso alla ricorrente». Perché per il giudice, accogliendo il ricorso, si sarebbe creato un precedente che avrebbe allargato «eccessivamente la pletora dei legittimati attivi» ad accedere al fondo Draghi. Inoltre, si legge nella sentenza, la madre di Krampen «ben poteva chiedere i danni mentre era in vita», e tale ’credito’ non può «ritenersi automaticamente ereditato dalla figlia».
«Anche se ne sono rimasta delusa, valuteremo la possibilità di impugnarla – commenta Eva Krampen –. Mia madre era affiliata alla famiglia Einstein. Di fatto, sin dall’infanzia, era la sua famiglia, il suo punto di riferimento. Sono stati loro che l’hanno accolta come una figlia, che le hanno dato l’affetto e si sono occupati della sua educazione. Una famiglia che le è stata tolta all’improvviso dalla furia nazista». E ancora: «Ha vissuto il dramma dell’uccisione di tre donne innocenti. Sua zia era una madre per lei e le sue due giovani cugine erano come sorelle. Dopo poco tempo ha dovuto vivere anche il dramma del suicidio di suo zio Robert. Non ha mai potuto dimenticare e ne ha sofferto per tutta la sua vita. Per questo io sento il dovere di impegnarmi nella memoria di questa famiglia», conclude.