Paziente scaricata dall'ambulanza: "Deve scendere qui". Ma dopo poche ore arriva l'infarto

L’accusa dei familiari: "La centrale del 118 ha bloccato il mezzo a 7 minuti dall’ospedale di Perugia". Eppure la donna non stava bene da giorni. E 15 ore dopo è andata in arresto cardiaco. Denuncia ai carabinieri

Elisa e Alvaro Filosi, figlia e marito della donna scaricata dall'ambulanza in strada

Elisa e Alvaro Filosi, figlia e marito della donna scaricata dall'ambulanza in strada

Perugia, 27 gennaio 2023 - "Mia madre è stata letteralmente scaricata dall’ambulanza in una stazione di servizio lungo la strada verso l’ospedale". Elisa Filosi trattiene a stento la rabbia, sua madre Donatella di 64 anni finalmente sta bene, è stata operata d’urgenza e ora un pacemaker garantisce che il suo cuore batta a dovere. Ma l’episodio di malasanità che le è capitato poche ore fa a Panicale, in provincia di Perugia, è adesso al centro di una inchiesta interna all’ospedale Santa Maria della Misericordia e viene messo nero su bianco in una denuncia per omissione di soccorso già depositata dalla famiglia di Elisa ai carabinieri. "Durante il tragitto l’ambulanza si è fermata - racconta Alvaro, marito della paziente - noi la stavamo seguendo in macchina. L’autista è venuto verso di noi, non capivamo cosa stesse accadendo. Ci ha detto che dalla centrale operativa aveva avuto indicazioni diverse: o accettava di essere riportata a Castiglione del Lago oppure doveva scendere dall’ambulanza, rinunciando al trasporto". La burocrazia in questa storia è il malanno più grave.

"Hanno detto che siccome mamma era già stata curata in un altro ospedale non potevano portarla a Perugia. Abbiamo protestato", prosegue Elisa. "Si erano fermati in un punto pericoloso, siamo stati noi a chiedere che almeno si spostassero nel piazzale del distributore di carburante che si trovava circa un chilometro più avanti. Qui l’hanno scaricata dall’ambulanza, le hanno tolto il collare ortopedico e l’ago dal braccio e sono ripartiti. Lasciandoci così". Ma la trafila sanitaria è stata ancora più lunga: "Mamma non stava bene da giorni, l’avevamo già portata all’ospedale del territorio, a Castiglione del Lago, uscendone senza diagnosi – il racconto della figlia – ma il giorno seguente ci è svenuta tra le braccia per due volte. Ci siamo decisi e abbiamo chiamato il 118. Gli stessi operatori ci hanno detto che a questo punto era il caso di andare all’ospedale di Perugia, con specialisti e attrezzature più avanzate. Per questo, quando hanno cambiato idea durante il tragitto non ci abbiamo capito più nulla. A quel punto abbiamo pensato che fosse meglio portarla in auto a Perugia, piuttosto che tornare indietro, così da raggiungere comunque l’ospedale più attrezzato e anche più vicino". Decisione quanto mai opportuna, visto che appena 15 ore più tardi Donatella è andata in arresto cardiaco per 25 secondi, mentre si trovava in osservazione in quell’ospedale in cui l’ambulanza non aveva voluto trasportarla. Così i medici hanno potuto operarla d’urgenza e applicarle il dispositivo salvavita.

A dimostrazione della gravità di quanto accaduto, il direttore della centrale unica del 118 in Umbria, Francesco Borgognoni, ha avviato un’indagine interna. "Si tratta di un atto dovuto in casi come questo", spiega. "Anche l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, ha chiesto chiarimenti. Non posso però commentare i fatti finché non avrò a disposizione le relazioni del personale coinvolto in questa vicenda: al momento conosciamo soltanto la versione della famiglia del paziente. Al termine degli approfondimenti invierò una relazione all’assessorato e alle direzioni generali coinvolte". Nel territorio umbro è in atto da tempo una battaglia per il mantenimento dei livelli di qualità dei servizi sanitari.

"A sette minuti dall’ospedale non si cambia idea", spiega il sindaco di Panicale Giulio Cherubini. "Di fronte ad un intervento di questo tipo non deve esistere un confronto in mezzo alla strada. E’ inaccettabile burocratizzare alcuni momenti così delicati della vita delle persone. Erano ad un passo dall’ospedale e avevano già comunicato quella destinazione ai familiari, cosa è successo dopo? Vogliamo saperlo". "Noi non ce l’abbiamo con gli operatori – tengono a spiegare padre e figlia – erano mortificati almeno quanto noi. E’ il sistema che è profondamente sbagliato".