Le donne nell'era post Covid-19. "Si rischia di tornare indietro di cent'anni"

Intervista alla sociologa e filosofa Chiara Saraceno

Chiara Saraceno

Chiara Saraceno

Firenze, 10 maggio 2020 - Le scuole sono chiuse e della riapertura si riparlerà a settembre, aiuti per le famiglie non ce ne sono, tranne un breve congedo parentale e un bonus da 600 euro destinato sopratutto a chi ha uno stipendio sufficiente a sostenere il costo di una baby sitter. Se queste sono le premesse, quale futuro attende le donne? Lo abbiamo chiesto alla sociologa e filosofa Chiara Saraceno, esperta di famiglia, coordinatrice della rete Alleanza per l'infanzia.

Donne a casa a curare i figli, uomini fuori a lavoro. E' questo che ci aspetta nell'era post Covid19?

«Il rischio è quello di un arretramento sociale. I servizi per le famiglie e l'infanzia erano già pochi prima della pandemia, adesso riapriranno tardi e probabilmente saranno anche meno. Le donne lavoratrici, che sono già comparativamente poche rispetto ad altri paesi sviluppati, lavorano nella sanità, nei servizi alla persona, nella grande distribuzione. Per gran parte sono dipendenti di piccole e piccolissime imprese, quelle che più facilmente andranno in bancarotta o non riapriranno. Anche le donne che continueranno ad avere un posto di lavoro dovranno abbandonarlo, perché non riusciranno a fare fronte a tutti gli impegni familiari, alla cura dei figli. E succederà soprattutto nel caso delle lavoratrici mal pagate. Se non si fa qualcosa, si tornerà indietro, ai primi del Novecento, quando le scuole erano comunque aperte, ma le donne si occupavano dei figli e gli uomini andavano a lavoro».

Bisognerebbe imparare dagli altri paesi europei?

«Si sarebbe dovuto guardare agli altri paesi già da prima della pandemia. Penso alla Spagna, un paese uscito dalla dittatura, per questo molto maschilista. Era messo peggio dell'Italia rispetto al tasso di occupazione e ai diritti civili, però poi è riuscito a fare un grande salto. La parità è diventata un tema forte della politica spagnola. Non è il paradiso, certo, ma già negli anni Novanta aveva superato l'Italia e sicuramente è ora più avanti di noi in termini di copertura degli asili nido o di incentivi al congedo parentale. Oggi vediamo in Spagna donne in posizioni importanti».

Da noi invece?

«In Italia esiste un problema culturale, sempre più intollerabile e inaccettabile. Solo in Italia, tra i Paesi sviluppati, accade questo. Dobbiamo fare qualcosa. La politica sicuramente, poi tutti noi cittadini e anche le donne. Siamo un Paese in cui ancora c'è una minoranza consistente di donne che ritiene che in caso di bisogno il lavoro debba andare prima agli uomini. Anche le donne che sono in politica devono fare di più. Spesso la lealtà al partito è considerata più importante. Invece occorre mobilitarsi, non aspettare per poi ritrovarsi a protestare quando le cose sono già accadute. Basti pensare al fatto che tuttora, purtroppo, c'è una sola donna ad essere segretaria di partito, e non è nel mio partito preferito. Tanti di cappello a lei, però, che non si fa mettere i piedi in testa. Bisogna mettersi in gioco, non basta sempre protestare ex post. Le donne che sono in Parlamento e nei ministeri possono organizzarsi, fare di più, fino a minacciare la sfiducia, se occorre».

Nell'emergenza è scoppiato il 'caso' Giovanna Botteri, la giornalista Rai che è stata insultata e derisa per i suoi vestiti e il suo aspetto. Cosa ne pensa?

«È un classico, purtroppo. E' una cosa insopportabile e molto triste. Anche gli uomini si attaccano violentemente tra loro, ma critiche e insulti non hanno quasi mai a che fare con il fisico o con gli abiti che portano, fatta eccezione per qualche battuta che si sente di questi tempi per la capigliatura improbabile di qualche giornalista, visto che i parrucchieri non sono aperti. Ma contro le donne, sì, l'aspetto fisico è determinante».

L'emergenza Covid19 amplificherà le disparità di genere?

«Sì, assolutamente. La chiusura delle scuole colpisce le madri, più che i padri. La divisione del lavoro familiare non si è equilibrata, nemmeno nel lockdown. Le madri lavoratrici, soprattutto, si sono trovate a fare il doppio lavoro in contemporanea, 24 ore al giorno. Durante il periodo dell'emergenza sono state più le donne che gli uomini a lavorare fuori casa, in sanità e nei supermercati, e sono state le più esposte al rischio contagio. Eppure la riapertura della fase 2 riguarda più il lavoro maschile. Viviamo nel paradosso tutto italiano per cui a pensare alla ripartenza è stato delegato chi dei problemi della donna non ha la più pallida idea. Solo adesso si comincia a parlare di famiglia e di bambini, ma solo perché ci sono state proteste e proposte che sono arrivate da parte di associazioni, di madri, non padri, che hanno fatto appelli e si sono organizzate, e anche di Alleanza per l'infanzia, che coordino. Basta, però, protestare ex post. Bisogna attivarsi subito e chi sta in politica dovrebbe essere più presente e attento».