SARA MINCIARONI
Cronaca

Bambino ucciso, la nonna: "Amava Alex, ma non voglio più vedere mia figlia"

Dall’Ungheria parla la mamma di Katalin, accusata dell’omicidio del figlioletto di due anni: «Uccidere il proprio sangue, come si può?»

Erzsebet Katalin Bradacs, 44 anni, con il figlio Alex Juhasz, 2 anni

Erzsebet Katalin Bradacs, 44 anni, con il figlio Alex Juhasz, 2 anni

Città della Pieve (Perugia), 5 ottobre 2021 - «Non voglio più vedere mia figlia. Ma non importa quanto io sia arrabbiata con lei, devo ammettere che è stata una madre che amava follemente Alex e che non poteva accettare la decisione del giudice. Ma come può qualcuno uccidere il proprio sangue? È orribile». Erzsébet è l’anziana madre di Katalin Bradacs accusata dell’omicidio del proprio figlioletto di due anni.

Alex era dunque il nipote dell’anziana, raggiunta in Ungheria dalla giornalista Eszter Lakat (che ci ha coadiuvato nella traduzione dall’Ungherese) a cui ha confidato di non voler «mai più rivedere la propria figlia» per il crimine di cui è accusata. L’anziana donna che vive ad Angelica ha ricevuto la notizia venerdì a dirglielo, a raccontarle quanto accaduto a Po’ Bandino, in Italia, è stata una nipote. 

In Ungheria la notizia del delitto è arrivata in una tragica e agghiacciante diretta tramite cellulare: messaggi con foto del corpo esanime del bambino che la stessa madre ha inviato a Claudio (suo figlio maggiore avuto da una precedente relazione) e al rappresentante dell’associazione in difesa dei padri che aiutava l’ex compagno ad ottenere l’affido del piccolo Alex. E proprio dieci giorni fa il tribunale ungherese aveva stabilito che il piccolo dovesse stare con il papà, ma a quanto emerge dalle ricostruzioni degli investigatori, la donna sarebbe scappata proprio il giorno prima da Budapest oltrepassando il confine con il figlio per raggiungere l’Italia.

Dove aveva già vissuto (a Rieti) con l’uomo di cui era rimasta vedova. Ed è proprio ad una sua vecchia amicizia italiana che Katalin si è rivolta per avere asilo e per essere ospitata: il titolare dello storico Cavallino Bianco di Chiusi che l’ha accolta per una notte. E stando a quanto scritto - nel provvedimento del giudice delle indagini preliminari, Angela Avila, che ha convalidato ieri mattina dopo l’udienza l’arresto della donna - proprio da casa dell’amico toscano la donna avrebbe sottratto dei coltelli nelle ore precedenti l’omicidio: il primo quello che le hanno trovato in borsa i carabinieri di Chiusi il giorno prima del delitto e che lei ha detto essere un’arma «da difesa per proteggersi dagli immigrati» che quello rinvenuto una seconda colta nella sua borsa il giorno del delitto: con la lama spezzata e apparentemente pulito.

Saranno adesso gli esami della scientifica a stabilire se anche su quella lama sono presenti tracce ematiche, come sui vestiti trovati nel casolare abbandonato che viene ritenuto il luogo del delitto. E intanto dall’Ungheria arrivano nuovi particolari proprio sullo stato della donna prima della fuga in Italia «quando il compagno italiano di Kati è morto – ha raccontato ancora la nonna – mia figlia ha sofferto così tanto da ammalarsi di nervi. E’ stata ricoverata. Nel frattempo, qualcuno doveva anche allevare il bambino. Poi mia figlia si è un po’ ripresa, si è trasferita qui. In seguito ha incontrato l’uomo da cui è nato Alex. È stata una relazione orribile, soprattutto dopo la nascita del piccolo – racconta ancora l’anziana donna –. Combattevano costantemente per l’affidamento. Quando il giudice ha preso la decisione di affidarlo al padre e appena Kati l’ha scoperto è scomparsa con il bambino».