Almanacco del giorno: 29 novembre 1223, approvata la Regola di Francesco. Santo della Pace

Nonostante abbia annunciato il Vangelo per tutta la vita, perfino da malato, tra tutti i quadri e gli affreschi nessuno lo rappresenta mentre predica alla gente

San Francesco al cospetto del Papa

San Francesco al cospetto del Papa.

Firenze, 29 novembre 2021 - È facile parlare dei Santi a posteriori. In particolare di San Francesco d’Assisi, oggi che il suo messaggio d’amore e di pace può contare su un’enorme popolarità e apprezzamento. Ma quando Francesco decise di recarsi a Roma per incontrare Innocenzo III e chiedergli il riconoscimento della Regola, era un uomo che predicava non in chiesa, ma nelle piazze, alle feste, nei mercati. Considerato da alcuni un rivoluzionario e da altri un ‘pazzo’. Un ex nobile cavaliere amante della bella vita, capace di spogliarsi nudo in piazza, disprezzare i potenti, condannare persino la ricchezza di suo padre, e parlare agli animali.

Quando decise di incamminarsi verso Roma, per sottoporsi al giudizio del Santo Padre, da alcuni anni la curia aveva deciso che tutte le forme di vita religiosa nascenti dovevano adottare o la Regola di Agostino o quella di San Benedetto. Inoltre il Papa aveva appena risolto il caso dei valdesi di Durando d’Osca, che dopo la morte di Valdo avevano deciso di tornare nella Chiesa di Roma. E altri gruppi valdesi stavano bussando alla sua porta. Dunque, quando il poverello d’Assisi arrivò a cospetto di Innocenzo, era uno fra i tanti rappresentanti di gruppi religiosi che in quel momento chiedevano di essere riconosciuti. E anche se mite e umile, appariva molto lontano dall’idealità monastica. Se fu lampante rendersi conto delle motivazioni spirituali dell’uomo, così non doveva sembrare la forma di vita comune che aveva adottato insieme ai suoi frati: non avevano conventi, stavano per strada e spesso si adattavano come ospiti di chi li accoglieva.

Giunti nella città eterna, San Francesco e i suoi compagni dovettero attendere quasi tre mesi fuori dalla residenza del Papa, che allora si trovava nel Palazzo Laterano. L’attesa oltre che lunga fu molto faticosa, perché le guardie pontificie, in mancanza di un’autorizzazione, impedivano loro di entrare, costringendo Francesco e i suoi frati a dormire per strada e vivere di elemosina. Il Papa decise di dar loro udienza solo dopo aver fatto un sogno, che San Bonaventura da Bagnoregio riportò con queste parole: “Come il Papa vedeva la basilica lateranense esser già prossima alla rovina; la quale era sostenuta da un poverello (si intende il beato Francesco), mettendole sotto il proprio dosso perché non cadesse”.

Alla presenza di Innocenzo III, Francesco espose la forma di vita dei frati, in modo molto semplice e breve e senza alcuna elaborazione teologica, composta da frasi evangeliche e norme pratiche destinate a regolare la loro quotidianità. Il Papa diede la sua approvazione solo oralmente, convinto che per contrastare il fiorire di movimenti religiosi che spesso diffondevano idee eretiche, occorreva incoraggiare la predicazione popolare dei gruppi religiosi fedeli al Papa e alla tradizione della Chiesa. Il testo originale di questo Propositum Vitae venne successivamente disperso. La Regola relativa al neonato ordine francescano fu ratificata il 29 novembre 1223 da Onorio III con la bolla Solet Annuere. “La Sede Apostolica suole accondiscendere ai pii voti e accordare benevolo favore agli onesti desideri dei richiedenti. Pertanto, diletti figli nel Signore, noi, accogliendo le vostre pie suppliche, vi confermiamo con l’autorità apostolica, la Regola del vostro Ordine, approvata dal nostro predecessore papa Innocenzo, di buona memoria e qui trascritta, e l’avvaloriamo con il patrocinio del presente scritto. La Regola è questa: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. Frate Francesco promette obbedienza e reverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori”.

Attraverso la fede, l’umiltà, la penitenza, la caparbietà, la povertà estrema e la coerenza cristiana, Francesco riuscì a superare ogni ostacolo, portando sulle sue posizioni Papi e Cardinali, con stili di vita molto lontani dai suoi. E anche i musulmani, cui andò incontro per trovare punti di unione tra le due religioni e raggiungere una pace duratura. Se ancora oggi i Francescani hanno la cura del Santo Sepolcro a Gerusalemme, è per il dono del Sultano a Francesco e Frate Elia.

Nei secoli, il Santo della Pace e degli ultimi è stato raffigurato mentre ammansiva i lupi e parlava agli uccelli. Ma nonostante abbia annunciato il Vangelo per tutta la vita, perfino quando era malato, tra tutti i quadri e gli affreschi che lo rappresentano, non ce n’è neppure uno in cui predica alla gente. Anche il suo modo ferreo di intendere e praticare la povertà evangelica, radicalmente ascetico e mendicante, è divenuto, nell’osservanza, una pratica un po’ meno severa, a favore di una vita conventuale e più organizzata. Sulla gigantesca figura di San Francesco, si sono stratificate le interpretazioni più disparate e contrastanti, anche per la scarsità ed eterogeneità delle fonti storiche. Che ci hanno consegnato un’immagine consona ma anche comoda: quella di un Santo povero. Ulteriormente impoverito dalle convenienze, nella sua originaria, austera, rivoluzionaria grandezza.

 

Nasce oggi

 

Carlo Levi nato il 29 novembre 1902 a Torino. È stato scrittore, pittore, medico, tra i più significativi narratori del Novecento, particolarmente noto per ‘Cristo si è fermato a Eboli’, che lo rese portavoce della questione meridionale nel secondo dopoguerra. Il romanzo autobiografico, scritto a Firenze tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944, narra le vicende di cui fece esperienza durante i due anni di confino ad Aliano, paese dell’entroterra lucano. Ha scritto: “Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia. Cristo non è arrivato, come non erano arrivati i romani, che presidiavano le grandi strade e non entravano fra i monti e nelle foreste, né i greci, che fiorivano sul mare di Metaponto e di Sibari: nessuno degli arditi uomini di occidente ha portato quaggiù il suo senso del tempo che si muove, né la sua teocrazia statale, né la sua perenne attività che cresce su se stessa. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria (…). Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”.

 

Maurizio Costanzo