Almanacco del giorno: 24 gennaio 2003, muore Gianni Agnelli. Il Re dello stile italiano

Ha incarnato per più di mezzo secolo l’immagine dell’industria e dell’eleganza italiana nel mondo. “Una cosa fatta bene – diceva – può essere fatta meglio”

Gianni Agnelli

Gianni Agnelli

Firenze, 24 gennaio 2022 - Non ha mai esercitato la professione ma per tutti è stato e rimarrà l’Avvocato. Era ricchissimo, eppure è stato invidiato più per la sua classe – inarrivabile - che per il suo patrimonio. La villa dei record, la più costosa al mondo in Costa Azzurra, era sua. Sua la Fiat, sua la Ferrari. Quando, per i suoi 70 anni, Michel Platini gli regalò il Pallone d’Oro accompagnandolo da un biglietto con su scritto “Questa è l’unica cosa che Lei non potrà mai avere”, l’Avvocato gli chiese: “È tutto d’oro davvero?”. “No - rispose il calciatore – se fosse stato tutto d’oro non glielo avrei regalato”.

Quando tutti miravano al potere, lui rinunciò alla proposta di formare e capitanare un governo. Mentre gli altri allo stadio restavano a tifare fino all’ultimo secondo di recupero, lui la sua Juve la guardava a metà, e alla fine del primo tempo se ne andava. Aveva conosciuto le donne più belle, importanti, famose e potenti del mondo, ma a chi era in cerca di gossip una volta rispose: “Gli uomini si dividono in due categorie: quelli che parlano delle donne, e quelli che parlano con le donne. Io, di donne, preferisco non parlare”.

Erano altri tempi, di quando anche lo stile era sostanza. E l’Avvocato era l’icona di stile per eccellenza. Tanto che si guadagnò il titolo di ambasciatore dell’eleganza italiana nel mondo indossando il piumino sopra il blazer, gli scarponcini di camoscio anche nelle occasioni formali, l’orologio sopra il polsino della camicia e sventolando le cravatte sopra il pullover. Più usciva dai canoni più diventava mito. Al punto che la rivista Vogue lo inserì nella classifica dei 50 uomini più eleganti del mondo una settimana prima della morte, nonostante non si vedesse in giro ormai da parecchio tempo.

Per mezzo secolo, tutti coloro che si sono posti l’obiettivo di migliorare la propria immagine, di darsi un tono o perlomeno di acquisire una certa classe, hanno cercato di copiarlo in modo più o meno consapevole. Ma invano.  Federico Fellini disse di lui: “Mettigli un elmo in testa, mettilo su un cavallo: è un Re”. E difatti Gianni Agnelli ha regnato su Torino, sull’economia e dunque sull’Italia, per tutta la sua vita. L’Avvocato è stato tante cose, presidente di Confindustria, Senatore a vita, mecenate delle arti, ma soprattutto erede prima e baluardo poi di una dinastia

Vedeva lontano: “Per essere italiani nel mondo – diceva – dobbiamo essere europei in Italia”. Il suo motto era: mai accontentarsi. “Una cosa fatta bene – sosteneva - può essere fatta meglio”. Il suo stile era figlio di una cultura cosmopolita e di una mentalità sabauda, quasi militare: pertanto i sentimenti andavano taciuti, come il dolore. Raccontò Cesare Romiti: “Non amava le rievocazioni, non provava nostalgie: ha sempre preferito il futuro”.

Poteva tutto l’Avvocato, forse per questo un giorno dichiarò: “Mi piace il vento, perché non si può comprare”. Chi però pensa a lui, rimasto orfano di padre a 15 anni, e alla sua vita come se fosse stata solo rose e fiori, non dice tutto. Perché in realtà è stata disseminata di dispiaceri e tra i più grandi: la scomparsa di Giovanni Alberto, il nipote,  figlio del fratello Umberto, scelto per la successione al vertice del primo gruppo industriale italiano. E poi quella di Edoardo, l’unico figlio maschio, morto nel novembre del 2000.

Il 24 gennaio 2003 moriva colui che per oltre cinquant’anni era stato l’immagine migliore dell’intero Paese, una sorta di modello cui ricondurre tutti i sogni e le passioni italiane, comprese quelle sportive, dal calcio alla Formula Uno. “Non tutti gli italiani tifano per la Nazionale – dichiarò un giorno l’Avvocato – mentre tutti gli italiani e il cinquanta per cento dei non italiani tifano Ferrari”.

Durante i solenni funerali Cesare Romiti rimase in piedi, compiendo un gesto nobile che non passò certo inosservato nell’affollatissimo Duomo. Che lo storico dirigente Fiat tempo dopo spiegò così: “Una domenica gli feci visita a Villar Perosa e andammo a messa. La moglie e i figli erano ai primi banchi. Lui invece si mise in fondo alla chiesa, dove restò in piedi per tutto il tempo, e io con lui. Terminata la funzione gli chiesi il perché, e lui mi disse che aveva avuto un’educazione cattolica, e quello era il suo modo di dimostrare se non la fede, la fedeltà. Ed è con quello stesso gesto che ho voluto rendergli omaggio, quell’ultima volta”.

Nasce oggi

Edith Wharton nata il 24 gennaio 1862 a New York. È stata una grande scrittrice e poetessa statunitense, la prima donna a vincere il Pulitzer per il romanzo ‘L’età dell’innocenza’. Ha scritto: “Ci sono due modi di diffondere la luce: essere la candela oppure essere lo specchio che la riflette”.

Maurizio Costanzo