Vichi
o una famiglia" le aveva detto. Le aveva giurato che la moglie era una strega, ma che non poteva lasciarla perché avevano dei figli.
"Che farebbero senza il loro papà, poveretti?" aveva detto. Allora lei si era messa a piangere.
"Anche noi abbiamo un figlio" gli aveva detto.
"Un figlio..." aveva detto lui.
"Si chiama Molecola" aveva detto lei. Lui allora si era strappato i capelli giurando che soffriva all’idea di non poterla sposare, ma non l’avrebbe mai dimenticata. Poi erano tornati in città e lui le aveva regalato quell’anello che costava molti soldi. Voleva anche darle un assegno.
"Non ti devi offendere" le aveva detto. Le aveva spiegato che nella vita le cose a volte non vanno per il verso giusto, e in certi casi si doveva solo inghiottire e tirare avanti. Maria affondò la faccia nella mia pancia e si mise a singhiozzare. Quando si staccò da me avevo la maglia bagnata come se avessi raccolto pomodori tutto il giorno. Lei si asciugò gli occhi e disse che quella mattina andava subito a vendere quell’anello d’oro che valeva un sacco di soldi. Lo faceva per Molecola, disse, poi ricominciò a piangere. Io mi sentii un po’ vigliacco, perché in un momento così mi misi a guardare le sue poppe che tremolavano per i singhiozzi.
Anche la gonna era un po’ salita, e mi venne la voglia di farle una carezza sulle gambe. Però non lo feci.
Pensai che ero già abbastanza vecchio e lei invece era ancora una ragazzina.
"Ti sposo" dissi, "e mi prendo il bambino come se fosse mio. E che tutto il paese vada al diavolo." Lei mi guardò che ancora sussultava con le spalle, poi cominciò a urlare no no no e corse via su per le scale con la gonna che svolazzava. Guardare quelle gambe mi faceva male agli occhi. Sentii una porta che sbatteva e poi un pianto disperato. Che avevo detto di male? Se mi voleva dire di no poteva scuotere la testa e io me ne sarei andato. Mi sentivo anche un po’ offeso. Non ero più così giovane ma non ero nemmeno concime per i campi. Non avevo preso moglie solo perché non avevo trovato quella giusta. Dissi a voce alta che andavo a riprendere il suo bambino e mi avviai alla porta. Lei scese di corsa e mi strinse una mano.
"Ti sposo ma finché non lo dico io non mi tocchi e io dormo chiusa a chiave" disse. Guardavo quel petto che andava su e giù e mi veniva voglia di abbracciarla.
"Giura che non mi tocchi e ti sposo tra una settimana!" Sentii il suo fiato buono sulla faccia, e dissi di sì.
"Giuro che non ti tocco" dissi. Da ora in poi chi storceva il naso di fronte a mia moglie avrebbe fatto i conti con le nocche delle mie mani. Dopo una settimana eravamo moglie e marito, e così Molecola aveva un padre. Ma quell’anello valeva meno di un etto di pepe. Maria pianse un giorno intero, non per i soldi ma
per l’inganno. Ogni tanto mi dava un bacio sulla guancia, allora la stringevo, aspettando un bacio vero, ma la mia speranza durava quanto un lombrico in un pollaio. Una sera tornavo dal campo con le sue gambe stampate qui in mezzo agli occhi. Entrai in cucina e la guardai mentre girava la zuppa. Le andai dietro, l’abbracciai e baciai la sua testa, uno schiocco sui capelli. Lei continuò a girare la zuppa e mi lasciò fare. Allora scesi con le mani. Non feci in tempo a sentire il morbido della pelle che mi tirò una gomitata nel fegato.
"L’avevi giurato!" disse tra i denti. Mi venne quasi voglia di dare un pugno sul tavolo e dire che ero suo marito, ma di fronte a quegli occhi non mi riusciva. Mi scusai e dissi che se facevo così la colpa era sua, perché era troppo bella, e che resistere era difficile come buttare via il pane durante la carestia.
Lei era contenta di sentire quelle cose, ma non voleva farmelo vedere. Si rimise a girare la zuppa. Lasciai perdere e andai in cantina a prendere il vino. A cena ne bevvi diversi bicchieri, così per consolarmi. Poi Maria prese il bambino come un fagotto.
2-continua