Marco
Vichi
Dopo anni di esperienza ero diventato uno dei più importanti esperti internazionali di olivi. Avevo fatto il giro del mondo insegnare come si pianta un olivo, come si concima, come si pota, quando e come si raccoglie, come si frange. Ero stato in California, in Canada, in Australia, in Sudafrica, ma quando mi arrivò la richiesta di un’azienda del Nepal rimasi piuttosto sorpreso. Parlammo a lungo via mail, in inglese. Chiesi informazioni sulla composizione della terra, sulle temperature, sulle escursioni termiche, e ovviamente sull’altitudine. Quando mi dissero che volevano piantare migliaia di olivi a 1.500 metri di altitudine, manifestai la mia sincera perplessità, ma loro insistevano…
Volevano piantare migliaia di olivi su un altipiano a 1.500 metri di altitudine. Avevano scelto me come consulente, accettavo o non accettavo? Ho sempre amato le sfide, e dunque accettai, ma non ero molto contento. Il primo viaggio in Nepal non fece che confermare le mie perplessità: la terra era buona, ma a 1.500 metri gli olivi avrebbe sofferto non poco, e probabilmente non avrebbero fatto nessuna oliva, ma loro insistevano… Spiegai che fino a 800 o al massimo 1.000 metri, con un clima favorevole non ci sarebbero stati problemi, mentre in quella situazione era davvero molto rischioso, ma loro insistevano… E allora dissi va bene, proviamoci, ma ricordatevi che io ve lo avevo detto. Nessun problema, dissero loro, e così cominciammo a lavorare. Andando e venendo dal Nepal feci preparare il terreno, feci arrivare le piante dall’Italia, seguii il lavoro in tutte le fasi, fino a che la follia del grande oliveto nepalese non arrivò a compimento. Adesso si doveva solo aspettare che il lavoro desse i suoi frutti… che ovviamente non sarebbero arrivati. Ogni tanto mi arrivava una mail con qualche richiesta di suggerimenti, e prontamente rispondevo.
Quando mi mandavano le foto delle piantine che crescevano, mi complimentavo, anche se sapevo bene che non sarebbe successo nulla. Le piante sarebbero diventate alberi, perché l’olivo è tenace, ma quai rami non avrebbero visto olive, a meno di un miracolo. Passava il tempo, mesi, anni… Dopo tre anni, in una situazione normale sarebbero apparse le olive. Ma in Nepal a 1.500 metri no di certo, mi dicevo. Mi arrivò una mail, mi chiedevano di andare a trovarli. Salii sull’aereo con la valigia gonfia di preventiva delusione. Non poteva apparire nessuna oliva a quell’ altitudine, ma loro avevano insistito… Quando arrivai in aeroporto mi accolsero con il sorriso sulle labbra, e allora chiesi se gli alberi erano carichi di olive, cioè se era avvenuto il miracolo. "Venga a vedere" dicevano sorridendo. Salimmo in macchina e partimmo. Immaginavo che da un momento all’altro mi portassero in un vicolo e mi riempissero di botte, o che addirittura mi ammazzassero a coltellate per averli presi in giro, ma in realtà io glielo avevo detto e ripetuto, e loro avevano insistito… Arrivammo in cima all’altipiano.
Scesi dalla macchina e cominciai a camminare tra gli olivi. Era tutto come avevo previsto. Ogni tanto in cima a un ramo si trovava un’oliva piccola e infreddolita, che si chiedeva cosa ci facesse in Nepal a 1.500 metri di altitudine. Era desolante vedere quella distesa di olivi che non avrebbero mai prodotto una sola goccia di olio, che tristezza. Mi voltai verso di loro e allargai le braccia. "Ve lo avevo detto, ma voi avete insistito… Questi alberi non faranno mai olive e non avrete mai una sola goccia d’olio" dissi. Loro scoppiarono a ridere. "A noi non ce ne importa nulla delle olive e dell’olio." "E allora cosa ci fate con queste piante?" "Ci facciamo il tè." "Che avete detto?" "Ci facciamo il tè. Abbiamo un’enormità di richiesta in India, non riusciamo ad accontentare tutti." Mi spiegarono che a quell’altitudine l’olivo un po’ sofferente continuava buttare fuori foglie nuove, le più adatte per fare il tè. Allargai di nuovo le braccia, sbalordito… Credevo di essere un esperto di olivi, ma avevo ancora molto da imparare.