
Un momento dello show con i costumi del premio Oscar Eiko Ishioka
Firenze, 25 ottobre 2016 - Varekai riporta il Cirque du Soleil nel cuore d’acciaio e cemento del Mandela Forum sulle ali di Icaro. Anche se, rispetto al mito, il rigurgito di fantasia dello show in replica a Firenze da mercoledì 26 al 30 ottobre strappa il figlio di Dedalo alle acque dell’Egeo per precipitarlo sulle pendici di un vulcano popolato da misteriose creature notturne in equilibrio (precario) sul filo che lega l’assurdo allo straordinario con la complicità del regista Dominic Champagne, delle musiche firmate da Violaine Corradi, e degli smaglianti costumi della stilista giapponese Eiko Ishioka, già premio Oscar per quelli del «Dracula» di Francis Ford Coppola. La scelta per titolo di un avverbio romanì come «Varekai», che nell’idioma balcanico significa «in ogni luogo» rende, infatti, omaggio all’anima senza fissa dimora dei gitani e allo spirito nomade del più grande spettacolo del mondo, con una dedica speciale per tutti quegli irrequieti in marcia lungo la strada che conduce «ovunque». Davanti a stupefacenti produzioni messe in strada negli ultimi anni dall’ensemble canadese, la poesia rarefatta di questo show del 2002 può ispirare anche tenerezza, ma 4.600 repliche in 130 città di 23 nazioni diverse davanti ad oltre 10 milioni di spettatori danno il senso del kolossal messo in piedi dai creativi di Montréal.
"Credo che il segreto di ‘Varekai’ stia nell’offrire al pubblico un’affascinante storia con cui emozionarsi", spiega il clown Steven Bishop, responsabile con la collega Emily Carragher degli inserti comici di uno spettacolo che gioca molto con la forza d’immaginazione e la potenza fisica di acrobati lanciati nel vuoto da stupefacenti altalene russe, di contorsionisti che sfidano i limiti della fisica, di trapezisti alla ricerca di nuovi voli e di altre altezze nella loro perenne lotta con la forza di gravità. "Di solito in produzioni di questo tipo la gente rimane affascinata dai personaggi o dalla qualità della performance, mentre in Varekai sono i sentimenti a costituire il gancio per afferrare anche l’ultimo degli spettatori".
Per Bishop, che ha passaporto australiano, una laurea in odontoiatria, e per far ridere al naso rosso del pagliaccio preferisce un po’ di brillantina nei capelli oltre ad un paio di baffetti disegnati a matita, l’esperienza di Varekai avrebbe dovuto rappresentare solo una parentesi di pochi mesi.
Invece sta in pista da dodici anni ed oggi è il veterano del cast di Varekai assieme al musicista belga Paul James Bannerman, l’unico a non essersi perso in questi quattordici anni nemmeno una replica. "I clowns rappresentano uno spettacolo nello spettacolo, perché le loro gag non hanno nulla a che fare con la storia raccontata da Varekai ma servono a creare un ponte tra lo show e lo spettatore creando le condizioni necessarie per coinvolgerlo nella storia", prosegue il dentista-saltimbanco.
"La tecnologia, infatti, ci mette a disposizione mezzi formidabili per afferrare l’attenzione della gente, ma l’apporto umano rimane comunque decisivo perché prima lo spettatore entra in empatia con me e la mia partner e poi inizia il suo viaggio nel mondo fatato di acrobati e contorsionisti". Secondo lui c’è una grande differenza tra l’allestimento originale di Varekai per il tendone e questo adattamento per le arene realizzato nel 2013. Rispetto al ‘grand chapiteau’, infatti, nei palasport è molto più facile comunicare i sentimenti e quindi alimentare il coinvolgimento diretto degli spettatori". Insomma, una punta in meno di magia ma più partecipazione.