Tradito dalla vita, Ado vince a Pieve Il suo diario sul podio della memoria

Costretto a emigrare a 11 anni, l’Italia lo richiamerà per le trincee: morirà a un mese dalla fine della guerra "Attraverso le sue pagine mi illudo di averlo conosciuto" racconta il nipote. Minuti di applausi in piazza

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di Alberto Pierini

La vita lo ha preso a schiaffi, il pubblico di Pieve sembra volerlo risarcire con l’infinita carezza di un applauso interminabile. E che il nipote raccoglie, emozionato, nel nome del nonno. Nonno Ado. Ado Clocchiatti, un signore nato nel Friuli di fine ’800 a Pasian di Prato. Un paese diviso da Udine solo da un torrente, il Cormor, e nel cui stemma c’è il simbolo di una quercia. Che avrebbe potuto essere comodamente il simbolo di Ado.

Costretto a 11 anni a lasciare la scuola per correre in Baviera a lavorare in una fabbrica di mattoni per sostenere tutta la famiglia. Un dolore che spinge il padre quasi al suicido e fa ammalare la madre. In un’odissea che nel suo diario ripercorre passo passo, prima dell’ultimo schiaffo. L’Italia che lo aveva costretto a emigrare per sopravvivere lo richiama per la guerra: dove sarebbe morto un mese prima della fine del conflitto. "Attraverso le sue parole ho l’ambizione di averlo conosciuto e la presunzione di mettermi in contatto con lui".

Sandro, il nipote di Ado, ha le spalle grosse e si carica del dolore del nonno. E’ l’unico forse nella piazza della memoria a non cedere alle lacrime; anzi a ricordarsi della cugina, "è stata lei a trascrivere tutte le carte". Il dolore del tempo, il sospetto che dietro quella fuga in Germania ci fossero anche mani "amiche": friulani che guadagnavano da queste operazioni. Una via crucis, nella quale nonno Ado riesce però a sposarsi e avere due figli. Il primo lo vede nascere ma non crescere il secondo non avrà neanche il tempo di inserirlo nel suo racconto.

"In casa di mia nonna c’era una foto che li ritraeva sereni, uno accanto all’altra: sembra incredibile ma quella immagine mi ha sempre dato fiducia. Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io". Ricordate? Era lo stesso appello di Liliana Segre ai ragazzi: "Non dite mai che non ce la fate".

"Addio patria matrigna" è la straordinaria sintesi del titolo. Come puoi chiamare diversamente chi non ti regala niente, chi ti spinge sotto il cappio del caporalato e poi si ritrova a morire per lei? "Non era in battaglia – precisa Sandro – ma nella sussistenza: ma si ammalò di Spagnola e morì in un ospedale militare". Senza l’umiliazione della trincea ma spezzato.

"Il destino – nota il conduttore della serata Guido Barbieri mai tanto commosso – non gli ha dato tregua". E’ andata proprio così, una sensazione fisica che anche al di là delle parole del diario, la piazza fa sua. Una piazza dove dalle 16 non vola un mosca: le memorie si srotolano nel silenzio assoluto, spezzato solo dalle letture di brani e dal racconto dei diaristi.

L’ultima è proprio quella di Ado, in un’escalation che quasi per caso il destino ha disegnato per il suo riscatto. Pochi minuti dopo un altro diario di guerra, quello di Eugenio Brilli, che almeno da interventista la guerra l’aveva scelta fino a considerarla giusta. Ado no.

Strappato bambino alla scuola e alla famiglia, poi in balìa dei maltrattamenti minorili, appeso al legame viscerale con il babbo, a sua volta spezzato dalla necessità di sacrificare il figlio per sopravvivere., "È un’ingiustizia - scrive dell’addio alla scuola - non posso, risposi al maestro perché sono troppo povero, piansi dalla rabbia... quando al mondo si è poveri non si è protetti da nessuno". Una legge che Ado impara a 11 anni ma che non gli toglie la speranza. Lo stesso nipote ricorda la gioia con la quale contribuiva alle sorti della famiglia. Mette in luce quella foto rimasta per tanti anni nel tinello di casa.

Per una vita che alla fine si avvolge e si perde solo intorno alla guerra. "Oggi, 27 luglio, parto anche io sotto le armi, compiendo il mio lavoro verso la famiglia che tanto amo... Voglia Iddio concedermi la grazia di ritornare e scrivere altre pagine di vita". No, nessuno lo avrebbe ascoltato, neanche questa volta. Lasciando della sua esistenza straziata solo il fil rouge del diario. Che Pieve, come ama fare, ha recuperato e trasformato in un riscatto di vita. Scandito dagli applausi che sciolgono l’edizione numero 38 e già annunciano quella del 2023, a 100 anni dalla nascita di Saverio Tutino. Il pioniere di un’idea che attraversa i secoli e regala anche agli sconfitti un’altra occasione.