
Il centro nella zona rossa
Arezzo, 18 novembre 2020 - Grazie a Dio, è mercoledì. Cioè uno di quei giorni feriali nei quali si allenta il vuoto del fine settimana, in particolare della domenica. Fin troppo utile, il deserto festivo, a diminuire i contatti sociali e dunque a rallentare, se non interrompere, la catena di trasmissione del contagio, ma l’effetto della zona rossa dà un’immagine di desolazione che lascia l’amaro dentro.
Ecco dunque che il crollo di presenze e di movimenti del fine settimana (addirittura meno 43 per cento la domenica) diventa al lunedì (ultimo giorno del quale esista una rilevazione) una più leggera contrazione, un meno 8 per cento che testimonia di una ripresa dei flussi di spostamento, facilmente individuabile anche a occhio nudo: più traffico, più persone per strada, più negozi aperti, almeno di quelli che hanno la deroga per andare avanti.
Va a configurarsi, insomma, un vero e proprio elastico, che si contrae al massimo quando i movimenti degli aretini non sono giustificati da esigenze lavorative o comunque impellenti, per poi distendersi quando riaprono le fabbriche, gli uffici, le vetrine del salotto buono e quelle dei centri commerciali. Solo quelle dell’intimo, della telefonia, dell’elettronica, della profumeria, degli articoli sportivi e affini che sono però sufficienti a garantire un buon 20 per cento di negozi in attività.
Ed è sempre molto di più, nella miseria, di quanto accadesse nel primo lockdown. Non a caso, gli spostamenti certificati da City Analytics sono il 117 per cento in più rispetto a marzo e aprile, più del doppio in una città, anzi nelle città perchè c’è anche la provincia, che è rattrappita sì ma non paralizzata come allora. Infatti, nel confronto con genaio e febbraio, il periodo immediatamente precedente all’inizio dell’emergenza, siamo praticamente alla pari, con un irrilevante meno 1 per cento di differenza.
Paga dazio soprattutto il commercio, dalle cui associazioni continuano infatti a piovere fieri lamenti, e paga dazio su tutti il comparto moda, abbiglialmento, calzature e accessori, quelli per i quali il lockdown leggero significa chiusura obbligata e che non a caso sono i più arrabbiati di tutti. Ma non è che prima della zona rossa, e anche di quella arancione, le cose andassero molto meglio.
Dopo la fiammata estiva, quando molti negozi avevano recuperato in parte la chiusura della prima emergenza, gli affari, come testimoniano alcuni commercianti delle vie dello shopping, avevano cominciato a rallentare già dalla metà di ottobre, in coincidenza con l’accentuarsi dei segni della seconda ondata e con i primi provvedimenti restrittivi. Non è solo un’impressione.
A rafforzarla ci sono anche i numeri raccolti da Confcommercio. Già in ottobre i consumi erano calati dell’8 per cento rispetto all’anno precedente. La principale organizzazione di categoria ha predisposto anche una suddivisione per settori: colpisce in particolare il tracollo dei ristoranti e affini, che nello stesso mese sono crollati del 38 per cento. Dire che qui l’estate era stata più che buona, soprattutto per l’afflusso consistente di turisti, maggiore che nelle altre città d’arte più note.
Ma la paura prima, lo stop alle 18 poi e infine la chiusura totale hanno inflitto il colpo finale al settore. Riprendersi sarà un’impresa, specie col Natale a rischio. Il governatore Giani parla di addio alla zona rossa non prima del 15 dicembre. Fosse questo lo scenario, sarebbe un Natale rattrappito, quasi un Non Natale.