Salvatore Mannino
Cronaca

Procura, Roberto Rossi torna in sella ma per ora fino a gennaio

Anche il Csm sospende il concorso per il successore dopo la sospensiva del consiglio di stato. Decisiva la sentenza nel merito. Deve gestire indagini chiave, da Coingas e Fredy

Roberto Rossi

Arezzo, 15 settembre 2020 - Non gli hanno ancora restituito tutto l’onore intaccato quasi un anno fa dalla mancata conferma a procuratore capo (quello potrebbe venire solo con una sentenza favorevole del consiglio di stato a gennaio), ma gli hanno almeno restituito (provvisoriamente) il posto. Eh sì, non c’è più un reggente sulla poltrona del capo dei Pm aretini, dopo Luigi Bocciolini e Luciana Piras, applicati dalla procura generale per tappare il buco aperto dal voto del Csm, Roberto Rossi è tornato dopo dieci mesi all’inferno, declassato a sostituto lui che aveva guidato le più importanti indagini degli ultimi anni, a cominciare da quella che gli era costata l’incarico, il crac Etruria.

E’ la naturale conseguenza, come La Nazione aveva anticipato all’indomani del verdetto del 31 luglio, della decisione con cui lo stesso consiglio di stato ha accolto la richiesta di sospensiva avanzata da Rossi in attesa dell’udienza nel merito. In sostanza, per ora la non conferma del Csm perde di efficacia e si torna alla situazione precedente, quella nella quale il Pm protagonista di tanti casi eccellenti era ancora il numero uno al terzo piano di palazzo di giustizia.

Lo stesso consiglio superiore ne ha preso momentaneamente atto, sospendendo il concorso già indetto per il successore di Rossi. Niente da fare, anche se è sicuro che a Palazzo dei Marescialli si costituiranno contro di lui nell’udienza di gennaio, per ora è il procuratore ad avvicendare se stesso. Il prino atto è stata venerdì la conferenza stampa sul blitz antidroga dai carabinieri.

C’era appunto Rossi e non avrebbe potuto esserci se non fosse tornato (sia pure a tempo) nel pieno dei suoi poteri: solo il procuratore capo è autorizzato a tenere i contatti con la stampa, E’ stato quello l’indizio, anche se l’interessanto aveva scelto il silenzio, per capire che che in procura c’era stato un altro ribaltone. Il caso è fin troppo noto.

A Rossi la maggioranza del Csm (relatore il «dottor sottile» Pier Camillo Davigo, gran capo della corrente ora maggioritaria tra le toghe) imputava la lesione, sia pure solo sotto il profilo dell’immagine, dell’indipendenza della magistratura. Fuor di metafora gli si rimproverava di aver indagato su Banca Etruria, e quindi anche su Pierluigi Boschi, quando ancora era consulente del dipartimento affari legislativi di Palazzo Chigi, con Renzi premier e Maria Elena Boschi, la figlia, potente ministro delle riforme.

In realtà l’incarico alla presidenza del consiglio cessa, stando alle date, il 31 dicembre 2015 e la sentenza di insolvenza di Bpel è dell’11 febbraio 2016, con l’immediata apertura del fascicolo per bancarotta fraudolenta in cui viene indagato fra i primi proprio Boschi senior. Ma queste sono incongruenze delle quali Rossi con i suoi avvocati dovrà discutere, dopo la bocciatura di primavera al Tar, davanti al consiglio di stato.

Per ora conta solo che torna padrone di se stesso, non più un semplice sostituto. Situazione che gli restituirà autonomia nella gestione delle inchieste scottanti che sta gestendo in prima persona. A cominciare da quella che fa tremare la politica su Coingas ereditata dal collega Andrea Claudiani e dal caso Fredy.