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Arezzo, 30 ottobre 2019 - E’ stata una valvola guasta a scatenare l’inferno dell’archivio di stato, la mattina tragica, il 20 settembre 2018, in cui morirono asfissiati Piero Bruni e Filippo Bagni, i due dipendenti fulminati dal gas Argon sulla soglia dello sgabuzzino in cui erano conservate alcune delle bombole dell’impianto.
E’ stata la valvola ma non da sola: mancava anche lo sfiatatoio verso l’esterno che avrebbe dovuto consentire al gas di essere convogliato all’aria aperta, dove si sarebbe disperso, invece di concentrarsi nel ripostiglio al piano interrato del Palazzo Camaiani-Albergotti, sede dell’archivio. E’ la conclusione cui arrivano i tecnici protagonisti della superperizia sull’impianto anti-incendio.
Da un lato gli ingegneri Antonio Turco (sì, proprio lui, lo stesso della E45) e Luca Fiorentini, dall’altro l’informatico Venerino Lo Cicero, che ha esaminato il computer dal quale l’intero sistema era governato.
Fin qui, saremmo ancora nel ventaglio degli scenari che erano stati ipotizzati sulla base delle prime indiscrezioni riguardanti il lavoro dei consulenti. La vera bomba sta invece nelle conclusioni di Lo Cicero, che al contrario di Turco e Fiorentini, indica precise responsabilità, quelle che lui chiama «condotte colpose in relazione alla documentazione ad oggi esaminata».
Bene, in quell’elenco di nomi, dieci in tutto, ce ne sono anche due a sorpresa: Paolo Qualizzata, all’epoca comandante provinciale dei vigili del fuoco, nel frattempo passato alla guida di Livorno, e Antonio Zumbo, pure lui ingegnere, pure lui ai vertici dei vigili del fuoco aretini. Ad entrambi si attribuisce lo stesso ruolo: «Autorità che ha rilasciato il certificato di prevenzione incendi». Quasi a sottintendere che quel documento, alla luce di quanto emerge dalla perizia, non doveva essere firmato.
Nel mirino della relazione Lo Cicero finiscono anche il geometra Giancarlo Pergola, progettista di parte dell’impianto nel 2004, il geometra Andrea Gori, uno degli indagati della prima ora, che certificò la conformità dell’impianto al progetto, il direttore dell’archivio, Claudio Saviotti, forse il primo a ricevere l’avviso di garanzia, due giorni dopo l’incidente, quale responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro dell’ufficio, alla pari con la direttrice che lo aveva preceduto, Antonella D’Agostino. C’è anche nella lista, sempre fra i dipendenti dell’archivio, Massimo Massai, referente per la sicurezza, mentre erano già indagati gli ultimi tre nomi dell’elenco: Gianfranco Conti, titolare della ditta Coimel che installò e configurò una delle centrali, Maurizio Morelli, titolare della Remas, che aveva in carico la manutenzione, e il suo dipendente Stefano Fancelli, esecutore della manutenzione 2010.
Ovviamente, non siamo di fronte a un plotone d’esecuzione ma a una consulenza peritale affidata dal Pm che segue le indagini, Laura Taddei. Toccherà, dunque, al magistrato di vagliare le conclusioni di Lo Cicero e anche di verificare il nesso di causa fra eventuali negligenze e quando accadde quel tragico 20 settembre.
Sia Turco e Fiorentini che Lo Cicero sono concordi nel descrivere le cause: «Il rumore sentito (dal centralinista Ndr) - scrivono i primi - risulta essere quello causato dalla fuoruscita del gas Argon a 200 bar dalla valvola di sicurezza priva del disco di rottuna e della tubazione di scarico all’esterno». A quel punto, Bagni e Bruni decidono di scendere nello sgabuzzino saturo di gas .
«Dal loro comportamento - è la relazione Turco-Fiorentini - si può dedurre che non fossero stati informati sulle caratteristiche del gas Argon (cioè sulla sua natura letale) e quando lo fossero stati che se ne siano completamente dimenticati». Quindi, Piero e Filippo o non sapevano o avevano scordato la formazione subita. Le loro famiglie e anche il direttore Saviotti non hanno mai avuto dubbi: «Nessuno ci hai mai detto che l’Argon uccide».