FILIPPO
Cronaca

Morti il 4 luglio: da Meleto a Castelnuovo il quarto peggior massacro del terribile ’44

Nei paesi intorno a Cavriglio 192 vittime, fra i quali tre parroci. Solo alle Fosse Ardeatine, Marzabotto e Sant’Anna bilancio più pesante

Filippo

Boni

Fuori piovigginava, il sole era tramontato. “Credo che dovremo salutarci”. Agostino guardò sua moglie per l’ultima volta, si voltò dall’altra parte del letto e spirò. Era la tarda sera del 4 luglio 1944 e una larga pozza di sangue proveniente da una ferita di arma da fuoco che lo aveva colpito all’alba di quella mattina aveva impregnato il materasso del letto. Agostino Mariottini era un umile contadino di località Casalone, nel comune di Cavriglia, che quella mattina si era svegliato per andare a mietere il grano; venne colpito da una fucilata a lunga distanza all’altezza di un rene e morì dissanguato la notte successiva. Il 4 luglio 1944 fu il primo dei 192 civili maschi innocenti massacrati dai nazisti ad essere colpito e l’ultimo a spirare.

L’operazione Seidenraupe, baco da seta, messa in atto dall’unità nazista della divsione Hermann Göring durante la ritirata aggressiva in Toscana nell’estate del 1944, che secondo lo storico Carlo Gentile abbracciò i territori dei comuni di Cavriglia, Civitella della Chiana e di Bucine, era iniziata il 29 giugno a Civitella della Chiana e a San Pancrazio e proseguì tra il 4 e l’11 luglio 1944 nel territorio di Cavriglia, nel Valdarno aretino. In questa terra, caratterizzata fin da metà Ottocento dall’attività mineraria, nella primavera del 1944 operavano le compagnie partigiane “Chiatti” e “Castellani”, inquadrate all’interno della 22a bis brigata Sinigaglia. Nel periodo fra maggio e giugno 1944 l’attività partigiana nella zona fu particolarmente intensa. Nel complesso i soldati tedeschi scomparsi, rapiti o uccisi furono circa venti.

E proprio in questo comune il 4 luglio 1944 a Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, Massa Sabbioni, San Martino e successivamente a Le Matole (l’11 luglio), ebbe luogo il quarto massacro nazista in termini numerici mai avvenuto in quegli anni in Italia dopo Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema e le Fosse Ardeatine, ma di cui si è sempre parlato poco. Su questa strage il sergente maggiore inglese Crawley, appartenente allo Special Investigation Branch dell’esercito alleato, nei mesi successivi realizzò una minuziosa indagine che però sarebbe stata dimenticata fino alla fine anni ’90 in seguito alle amaramente note vicende dell’armadio della vergogna. Proprio grazie a quello straordinario rapporto, oggi siamo stati in grado di individuare i responsabili del massacro, che furono truppe d’élite dell’aeronautica tedesca: i paracadutisti del 76 Panzerkorps, la cui compagnia di riferimento in quel periodo era proprio la Hermann Göring appunto. Erano guidati dai generali Foster e Heidrich, dai colonnelli Bornscheuer e Kluge, ai quali si aggiunsero gli uomini della Alarmkompanie Vesuv di Wolf, specializzati nella caccia alle bande partigiane più efferate. Era stata pianificata nei giorni precedenti, la dinamica è oggi molto chiara.

Il 29 giugno 1944 un operaio della miniera, Ivario Viligiardi, venne sequestrato e torturato e conferma ai tedeschi la presenza di partigiani sul luogo fornendo preziose informazioni sui boschi in cui sono rifugiati. Per l’esercito tedesco le informazioni ricevute sono una molla ulteriore per far scattare l’operazione contro i civili. Il 3 luglio le truppe occupano il paese di Santa Barbara. I soldati coinvolti sono circa mille. All’alba del 4 luglio intorno alle 6, Meleto viene accerchiata dai soldati con un movimento a tenaglia, iniziano a rastrellare indiscriminatamente civili di sesso maschile, tra cui il parroco Don Giovanni Fondelli, li scortano al monumento ai caduti della Prima guerra mondiale, nel centro del paese. L’assembramento diventa troppo vasto e ingestibile per i soldati tedeschi. Alle 10 e 30 il comandante decide di dividere i civili in 4 gruppi per condurli in 4 aie; Benini, Rossini, Pecci e Melani, 2 all’estremità ovest e 2 all’estremità est del paese. L’esecuzione è rapidissima. Dei colpi di mitragliatrice fendono l’aria. In pochi minuti, senza un processo, senza una spiegazione, 93 civili perdono la vita. I soldati tedeschi incendiano i luoghi del massacro e velocemente si allontanano.

In contemporanea, la stressa mattina, a 4 km, a Castelnuovo dei Sabbioni si consuma un altro massacro. Gli uomini vengono radunati in Piazza 4 Novembre, ai piedi di un’alta muraglia sopra a cui la strada porta alla chiesa nella parte alta del paese. Il parroco don Ferrante Bagiardi è fra i rastrellati. Nonostante la disperazione riesce però a trovare la lucidità per somministrare la comunione ai fedeli prima di essere ucciso. Vengono sistemate 2 mitragliatrici a 18 metri dai civili in fila contro il muro. In quegli attimi concitati in quattro riescono a salvarsi gettandosi dallo strapiombo a lato della piazza. Le mitragliatrici lasciano a terra 68 cadaveri a terra a cui si aggiungono altri 8 civili uccisi per aver tentato la fuga durante il rastrellamento. Dalle case vicine vengono requisiti mobili e gettati sui corpi dei cadaveri e alle 16 e 30 i soldati appiccano un grande fuoco sui corpi il cui fumo si intravede a chilometri di distanza.

Poco dopo un altro massacro si consuma a Massa Sabbioni dove morirono il parroco Don Ermete Morini ed un suo parrocchiano, Dante Pagliazzi. Idem a San Martino, borgo oggi inghiottito dalle escavazioni minerarie, dove i soldati uccisero altri quattro uomini. Nei giorni successivi i nazisti minarono gli impianti minerari e distrussero la centrale elettrica, prima di avventurarsi sulla montagna e di attaccare i partigiani, uccidendo tre contadini e crivellando di colpi Nikolay Bujanov, partigiano ucraino ed ex soldato disertore nazista. L’orrore finì nel quartiere de Le Matole l’11 luglio, quando vennero uccisi altri dieci uomini. A distanza di 77 anni, colpevolmente, fuori dalla Toscana non si è mai parlato abbastanza di questa strage e le famiglie delle vittime ancora sperano in qualcosa che probabilmente non avranno mai. Come la moglie di Agostino Mariottini, che ha aspettato tutta la vita senza ottenere ciò che chiedeva per il marito insieme alle altre vedove: giustizia. Sono morte in silenzio senza un saluto, sono morte senza ottenerla.