Salvatore Mannino
Cronaca

"Mio padre mi violentava", ma in aula ritratta: "Mi malmenava, volevo tenerlo lontano"

Clamoroso epilogo per una causa. Il babbo assolto, la figlia andrà sotto indagine per calunnia. E contro di lui non risultano episodi penalmente rilevanti. Nella foto il Pm Dioni

Marco Dioni

Arezzo, 7 marzo 2018 - Per cinque anni ha accusato il babbo: mi ha violentata. Fino al colpo di scena finale della ritrattazione in aula poco prima della sentenza. L’ho fatto, ha spiegato lei ai giudici allibiti, perchè volevo tenerlo lontano, mi maltrattava e mi faceva paura. Una brutta storia di sospetta violenza domestica da parte del classico padre-padrone che per la protagonista finisce nel peggiore dei modi: adesso sotto indagine ci finirà lei, per calunnia.

Un caso che, dicono i protagonisti dell’inchiesta poi sfociata nel processo, stava male in piedi fino dal principio, ma la giovane, una rumena di 25 anni, ha smesso di insisterci soltanto quando non ce l’ha fatta a reggere al rimorso di aver mandato a giudizio un innocente, almeno del reato contestato, cioè gli abusi sessuali. Eppure proprio quello lei aveva raccontato nel 2013, quando, già ventenne, aveva presentato la denuncia. I presunti fatti, a dire il vero, risalivano a un periodo molto precedente, quando la donna di adesso era poco più di una bambina.

Avevo dodici anni, spiegava, quando lui ha cominciato a insidiarmi. In Casentino, senza specificare di più per non rendere identificabile la protagonista di una storia comunque scabrosa. L’iter giudiziario fa il suo corso e sfocia prima nella richiesta di rinvio a giudizio, poi nella decisione del Gip di disporre il processo e infine nel dibattimento vero e proprio. A questo punto tocca alla testimone principale, la ragazza appunto. In situazioni come questa, senza riscontri obiettivi, è spesso la parola della donna (in questo caso della figlia) che diventa determinante: una sillaba in più e il padre-padrone avrebbe fatto fatica a salvarsi dalla condanna.

Ma il Pm Marco Dioni non ha fatto in tempo a chiederla: prima lei si è sentita in dovere di dire che si era inventata tutto. Per evitare appunto che lui la maltrattasse. Spiegazione che anche questa regge fino a un certo punto. C’era infatti anche una denuncia per maltrattamenti, ma le indagini avevano accertato solo qualche episodio al limite, non al punto però di essere perseguibile penalmente.

Inevitabile dunque la sentenza di assoluzione del collegio presieduto da Gianni Fruganti, con trasmissione degli atti in procura per la calunnia. Resta la sofferenza umana di una giovane donna, forse un pizzico di depressione. Ce ne deve essere voluta tanta per arrivare a un processo contro il padre-padrone.