Martina, il giallo del muretto: prova il suicidio o la tentata violenza?

Il divisorio basso tra le camere, dimostrato dall'avvocato Buricchi, è considerato prova a favore sia dalla difesa che dall'accusa: ecco perché

L'avvocato Buricchi scavalca il divisorio tra i balconi

L'avvocato Buricchi scavalca il divisorio tra i balconi

Arezzo, 12 novembre 2018 - A chi giova il muretto facile da scavalcare tra un terrazzo di camera e l’altro che l’ultima udienza del processo per Martina ha introdotto in aula con plastica certezza? L’altezza del divisorio fra i balconi dell’hotel, più o meno un metro per una quarantina di centimetri di larghezza, è ovviamente funzionale alle opposte tesi con le quali l’accusa (con la parte civile, cioè la famiglia) e le difese si presentano alla stretta finale del processo.

Bene, dicono gli avvocati di Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due imputati, quella è una prova a discarico, un elemento in più a sostegno dello scenario del suicidio. No, ribattono il procuratore capo Roberto Rossi e i legali dei genitori della studentessa, è l’indizio che rafforza l’ipotesi della caduta accidentale per sfuggire a un tentativo di violenza sessuale, quanto appunto è contemplato nel capo di imputazione.

Sarà bene chiarire i motivi di letture tanto divergenti dello stesso fatto. Stefano Buricchi, il difensore di Luca Vanneschi, è andato appositamente nell’hotel della tragedia a Palma per verificare lo stato dei luoghi, come aveva fatto a suo tempo anche il collega Tiberio Baroni, che assiste Albertoni. La mia passeggiata a scavalcare da un balcone all’altro, lascia intendere Buricchi (ma Baroni non si discosta), filmata e mostrata in aula dimostra che non si poteva cadere casualmente, perchè il passaggio da una stanza all’altra è fin troppo semplice.

Ergo, Martina non può essere precipitata per accidente ma deve averlo fatto gettandosi volontariamente, come da sempre sostengono i due accusati. Niente tentativo di violenza sessuale, insomma, ma suicidio da depressione, come hanno sostenuto all’ultima udienza gli psichiatri di parte.

Un ragionamento che viene rovesciato di 360 gradi dal procuratore Rossi e dagli avvocati dei genitori, Stefano Savi e Luca Fanfani. Proprio perchè era così facile scavalcare, Martina deve averla considerata come la migliore delle vie di fuga dal tentativo di stupro, senonchè nella concitazione del momento, nello stato d’ansia e di terrore in cui si trovava dinanzi all’aggressione sessuale subita, ha perso l’equilibrio ed è precipitata quasi sulla verticale del muretto.

E’ qui che si gioca gran parte del processo: qual è fra le due la ricostruzione che i giudici considereranno come la più attendibile? In gioco c’è appunto la sorte di Albertoni e Vanneschi: semplici testimoni di un’esplosione di nervi sfociata nel suicidio o protagonisti di uno stupro fallito per la reazione della vittima che però ha pagato con la vita? Domani si torna in aula perchè le difese considerano irrinunciabili alcuni testimoni stranieri irrilevanti secondo accusa e parte civile.

E poi c’è un’istanza di acquisizione e perizia presentata da Baroni per il cellulare di Martina, nel frattempo restituito alla famiglia. Decide il tribunale: se respinge le richieste, si va velocemente alla conclusione, altrimenti i tempi si allungano almeno di un paio di mesi. E a febbraio potrebbe scattare, secondo alcune interpretazioni, la prescrizione di uno dei due reati contestati: la morte come conseguenza di altro reato. Resterebbe comunque il tentato stupro di gruppo.