ALBERTO PIERINI
Cronaca

"Io e mia madre Liliana Segre" Il figlio racconta a Rondine gli anni del silenzio dopo il lager Poi l’inizio delle testimonianze

"Da piccolo le chiesi di quel numero tatuato: è una cosa cattiva fatta alla mamma, mi rispose". L’intuizione del dramma, i particolari intrufolandosi negli incontri pubblici, la protezione. "La scommessa della Cittadella ci accomuna. Il nemico? Vorrei un tedesco con cui confrontarmi".

"Io e mia madre Liliana Segre" Il figlio racconta a Rondine gli anni del silenzio dopo il lager Poi l’inizio delle testimonianze

di Alberto Pierini

"In casa per anni sono stato assolutamente all’oscuro del dramma di mia madre". Alberto Belli Paci è innamorato di Rondine, come tutti quelli che da tre giorni affollano il borgo sull’Arno. "E’ una sfida che mi affascina far convivere tra loro i nemici: e ho chiesto a Franco Vaccari di trovarmi un tedesco disposto a confrontarsi con me". Alberto è il figlio di Liliana Segre e con la delicatezza e il riserbo tipici della famiglia ti apre uno spiraglio, solo uno spiraglio, sulla sua vita.

"Mi chiamo Alberto, come mio nonno, morto ad Auschwitz. Ma solo a 13 anni sono venuto a sapere qualcosa". Non dai genitori ma da un cugino, che poi per lui era zio Oscar. "Chiesi subito a mio padre, mi pregò di non far capire alla mamma che sapevo". Ne aveva avuto prima solo un’intuizione. "Le chiesi da piccolo cosa fosse quel numero 75190 tatuato sul polso. Mi rispose che era una cosa che uomini cattivi avevano fatto alla mamma". Parlava di sè in terza persona, la protezione estrema, meticolosa di una madre che voleva tenere fuori i figli da un dramma più grande di loro. "Pensava che non saremmo mai stati tanto grandi da sopportarne il dolore". Finché nel 1990 cominciano le testimonianze pubbliche. "Non voleva che noi le ascoltassimo, ma io ero un ragazzo ribelle e mi intrufolavo in un angolo". Un lembo che si alza nel silenzio protettivo di una mamma speciale. "Sono una vecchia signora, sono una mamma e una nonna" era sempre l’inizio delle sue testimonianze. Comprese le tante a Rondine e ad Arezzo, fino all’ultima dell’ottobre 2020. Sa che sua madre è legatissima a quel colle sull’Arno ma lui, poco incline come lei a mostrare emozioni, non lo è da meno. E per questo è lì, sul palco, a raccontare quello che in pubblico forse non aveva mai raccontato. "Ho un fratello e una sorella più piccoli di me, insieme non ne abbiamo mai parlato". Conosce insieme ad altre lingue il tedesco, essendosi fatto una bella strada nell’export. "Lo ha voluto mia madre, diceva che così avrei potuto difendermi". Un giorno in una trasferta in Germania qualcuno gli chiede come mai la sua straordinaria socievolezza non trapelasse. "Certo che ve lo spiego: dipende dal numero 75190".

Proprio come la madre racconta le cose più forti con poche parole: ma arrivano come una scossa a chi lo ascolta. "Rimanevo a bocca aperta davanti alle testimonianze della mamma, mi colpiva il silenzio dei ragazzi". E non si accorge che di fronte, nel tendone di Rondine affollatissimo, c’è lo stesso silenzio. All’arrivo della marcia della pace, aveva raccontato l’episodio di Janine, l’amica di Liliana nel campo di concentramento. Momenti che lui ha vissuto di rimbalzo, momenti che gli hanno cambiato la vita. "Le mie notti erano inquiete, i miei sogni disturbati".

Ma della madre ha anche ereditato la forza. Si racconta nei suoi momenti più duri, a cominciare dalla malattia della moglie. E su cosa le diceva Liliana. "Pensa solo al passo che stai facendo: concentrati sul piede in movimento e non sull’altro. E’ il tuo presente che conta".

E sembra di risentire Liliana quando nelle testimonianze quasi gridava: "Non dite che non ce la fate: ci si fa sempre". E’ per questo che lei ha scelto Rondine per la sua testimonianza. E’ per questo che lui riserva a Rondine il racconto mai fatto. "Ogni tanto mia madre mi dice che è stanca di avere un figlio così vecchio: la posso capire". Sorride: e avverti dentro che quel sorriso vince perfino il più grande orrore della storia.