
Il voto che cambiò la storia. Sfida all’ultimo manifesto su fronti contrapposti. Ma qui fu un plebiscito
Repek
Finì 65% a 35%: non ci fu gara tra il no e il si al divorzio nella provincia di Arezzo. Era il 1974, mese di maggio: referendum sull’abrogazione della legge Fortuna-Baslini che nel 1970 aveva introdotto il divorzio in Italia. Per il si, cioè per la cancellazione di questo diritto, c’erano la Dc e il Msi. Per il no, il resto dello schieramento politico del tempo e quindi Pci, Psi, Psi, Pri, Pli, Pdup e Radicali. A livello nazionale il no ottenne quasi il 60%, il si il 40.
Percentuale sostanzialmente identica nel comune di Arezzo dove andò a votare l’87,72% degli aventi diritto: una percentuale che rende perfettamente l’idea di come in politica sia passato mezzo secolo, non solo in relazione ai referendum ma anche ai normali appuntamenti elettorali. In provincia il no arrivò al 35% ottenendo la maggioranza solo a Castiglion Fiorentino, Sestino e Talla. Non riuscì a coprire nemmeno la totalità dei pochi comuni che allora si definivano bianchi e il risultato fu addirittura inferiore del 4% rispetto alla somma dei voti ottenuti da Dc e Msi alle politiche di due anni prima.
Le ripercussioni politiche a livello locale furono minime. Le scelta del Msi di pronunciarsi per il no gli costò la perdita del suo "ragazzo d’oro", erede naturale di Oreste Ghinelli e cioè Maurizio Bianconi. Laico senza incertezze, consigliere comunale del Msi dal 1970 al 1974, con il referendum sul divorzio iniziò ad allontanarsi non solo dal Msi ma anche dalla politica. E questo fino al 1993 e quindi all’Unione dei cittadini. Poi, con la svolta di Fiuggi, il riavvicinamento alla casa madre che stava per diventare Alleanza nazionale, partito a cui aderì nel 1995.
Il nome che viene travolto dal risultato del voto del 12 e del 13 maggio è uno solo: Amintore Fanfani. Ci aveva messo la faccia, ci rimetterà l’ufficio di Segretario nazionale della Dc. Non subito ma un anno dopo: le amministrative del 1975 portarono la Dc al suo minimo storico e Fanfani fu costretto a passare il testimone a Benigni Zaccagnini. Fanfani aveva creduto, fino all’ultimo, al successo del no. Le cronache nazionali riportano un suo continuo movimento, per la campagna elettorale, in tutto il paese.
Non può, ovviamente, mancare Arezzo e piazza San Francesco. Afferma di contare sulle donne: "L’insieme dei doveri verso i figli e verso la società, può giungere a non consentire ai genitori di scegliere le famiglie che hanno costituito se questo scioglimento o divorzio, nuoce al bene dei figli e reca diffusi e gravi danni alla società". La campagna elettorale nazionale della Dc alza l’asticella della propaganda a livelli notevoli: "Il 45% di tutte le persone arrestate sono ragazzi con meno di 18 anni. Quasi tutti sono figli di genitori divorziati".
Se non basta la cronaca nera, si invade il campo avverso e deve intervenire la magistratura. Accade anche ad Arezzo dove viene affisso un manifesto per il si ma con i simboli della falce e del martello nonché con frasi di Togliatti e Marx. Più un invito: "Compagni, qui la politica non c’entra. Si tratta di salvare la famiglia". Per il segretario provinciale del Pci, Giorgio Bondi, è troppo e presenta una denuncia alla magistratura.
Il pretore Silvano Anania gli dà ragione e la cronaca aretina de La Nazione ne riporta la sentenza: "I manifesti sono macroscopicamente idonei a creare confusione e sconcerto tra i cittadini e gli elettori, in quanto l’uso dei simboli (bandiere rosse con falce e martello), di terminologia (la parola compagno) e la riproduzione della fotografia di Palmiro Togliatti appare attribuire al Pci una volontà politica favorevole all’abrogazione del divorzio".
Oggi si sarebbe parlato di campagna di disinformazione ma è evidente che nulla di nuovo c’è sotto il sole sempre più pallido della politica. Il si ottiene consensi inaspettati: un forte gruppo di medici dell’ospedale di Arezzo, il Consiglio del sindacato avvocati e procuratori di Arezzo, oltre 450 insegnanti che firmano un documento. Una campagna elettorale locale comunque moderata si riflette in altrettanto moderati commenti post voto. Amintore Fanfani: "Il popolo si è pronunciato direttamente sulla validità della legge (…) e la Dc conferma il suo preannunciato ossequio alla decisione che gli elettori hanno liberamente preso".
Il sindaco Aldo Ducci si prende tempo per riflettere e il 21 maggio affida a La Nazione il suo commento: "La campagna per il referendum ha dimostrato l’alto livello di civiltà democratica della popolazione aretina. Benché a volte aspro nei toni e nelle argomentazioni, il confronto tra i partiti si è sviluppato in modo sostanzialmente corretto".
Ducci ricorda che i partiti avevano accettato il suo invito "a eliminare alcune forme dispendiose e inutili di propaganda quali striscioni, insegne luminose, strutture prefabbricate e altro che involgariscono il confronto e deturpano il volto della città". Era il 1974: un altro secolo, un altro millennio.