Salvatore Mannino
Cronaca

Il tesoro della Castoro: trovati nascosti in ditta 16 chili d'oro e 250 di argento

Il metallo pregiato era in tre fusti mescolato con gli acidi: valore mezzo milione. Un nascondiglio o il procedimento di lavorazione dei residui interrotto? Argento sotto una vasca di lavorazione

I controlli della Finanza

Arezzo, 25 gennaio 2019 - C’era un tesoro nascosto nella fabbrica dell’oro turco, come nella caverna di Alì Babà e i 40 ladroni: 16 chili d’oro sciolti nell’acido e 250 chili d’argento occultati nel doppiofondo sotto una vasca della «Castoro» di Castiglion Fibocchi, l’azienda di gioielli finita nella bufera di un’inchiesta della procura di Bologna, decapitata dall’arresto dei titolari e dei principali referenti, due dei quali sono ancora in carcere.

A ritrovare tutto è stata la Guardia di Finanza bolognese che segue le indagini, dopo una segnalazione partita dall’interno. Un colpaccio avvenuto proprio in questi giorni, a oltre un mese dal clamoroso blitz prenatalizio che portò in carcere Simone Iacopi, la sorella Rita (ora ai domiciliari), il figlio di quest’ultima, Giacomo Baldini, anche lui sempre in galera, e Alessio Frasconi, uno dei condannati di Fort Knox, che aveva trovato una nuova attività all’interno della Castoro e che adesso è tornato libero, sia pure con l’obbligo di residenza nel comune d’origine.

A seguire gli ultimi sviluppi è ancora il Pm Marco Forti, che aveva chiesto e ottenuto dal Gip Alberto Gamberini i provvedimenti poi eseguiti dalle Fiamme Gialle. L’ipotesi d’accusa, avallata appunto dal Gip, era quella di un colossale riciclaggio da 24 milioni di euro mai registrati nei bilanci aziendali, con 700 chili d’oro senza punzonatura passati nelle mani dell’organizzazione al cui vertice c’era il turco Serdar As Tamsan.

L’argento, valore fra i 125 e i 150 mila euro, gli uomini della Finanza lo hanno scovato sotto una cassa per la deposizione dei fanghi di lavorazione dei metalli. I 16 chili d’oro, invece, sono stati recuperati dentro tre fusti di acido, ridotti allo stato liquido o semiliquido. Per questi ultimi gli accertamenti sono ancora in corso. Sono di provenienza illecita? Può essere o anche no.

La Castoro, infatti, ha in fabbrica un procedimento di recupero dei residui d’oro della lavorazione, che avviene appunto tramite il trattamento con gli acidi. Ci può stare insomma che fosse una raffinazione ancora in corso quando l’attività è stata bruscamente interrotta dall’arresto dei titolari. Ma ci può stare anche che si tratti di altro oro in nero, come quello già contestato dal Gip ai destinatari delle ordinanze di custodia cautelare.

Più lineare sembra la storia dell’argento. In questo caso la presenza del doppiofondo, abilmente occultato, sembra proprio indicare che si trattasse di metallo clandestino, mai registrato ufficialmente. Sta adesso al prosieguo dell’inchiesta capire da dove venisse e a cosa fosse destinato. Ma sembra comunque destinato a diventare un altro capo d’imputazione sulle spalle degli attuali indagati o di altri che venissero scoperti via via che le indagini proseguono.

In ogni caso, i misteri della Castoro, azienda molto nota del distretto orafo aretino e anche con prezzi particolarmente concorrenziali, continuano a far rumore. Per mesi e mesi i protagonisti dell’inchiesta hanno seguito e intercettato i movimenti dei titolari poi finiti in carcere, ascoltandone le conversazioni e registrando i contatti con l’organizzazione guidata dal turco, che sbarcava a Bologna, proseguiva in auto per Sesto Fiorentino e Castiglion Fibocchi, scambiava lingotti per denaro contante e poi ripartiva per Bologna da dove riprendeva il volo.

Anche alla luce della scoperta di oro e argento in fabbrica il caso pare tutt’altro che chiuso. Se non altro servirà una spiegazione: da dove arrivava e a cosa serviva questo tesoro in apparenza clandestino?