Guerra in Ucraina, la prima dopo il nazismo

Il politologo Vittorio Emanuele Parsi parla del difficile confronto fra ordine liberale e autocrazie. Saggio e romanzo sulla Germania di Hitler

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di Salvatore Mannino

Putin come Hitler? Per quanto il paragone con il Fuher, considerato come la personificazione del male assoluto della storia, possa apparire irriverente, il parallelo fra lui e l’autocrate russo si è affacciato a più riprese nel corso di questi cento giorni e più di guerra in Ucraina. E il Moby Dick sarà probabilmente un’arena nel quale la questione tornerà a balenare. Perlomeno quando Vittorio Emanuele Parsi, politologo e polemista di vaglia, risolutamente schierato sulle posizioni occidentali, sarà all’Auditorium delle Fornaci (domenica alle 16) per parlare dell’Era delle divergenze e del costo della libertà, che è un modo per affrontate in modo alto, oltre la cronaca, il tema di quanto sta succedendo a Kiev, Mariuopol, Karkiv e ora Severodonezkt. Forse anche quando lo storico e giornalista tedesco Gotz Aly (molto noto) presenterà il suo libro, ormai un classico, "Lo stato sociale di Hitler" (sabato, alle 17). Magari anche quando lo scrittore scozzese di origini tedesche Alexander Starritt sarà di scena (domenica alle 17) per dire del suo romanzo sul nonno che racconta al nipote la rovinosa campagna di Russia voluta proprio da Hitler nel 1941.

Del resto, è stato proprio Parsi a introdurre, in un suo recente intervento televisivo, oltre che nelle analisi che scrive per il "Messaggero", il paragone fra l’avanzata nazista in Russia del 1941-42, giunta fino alle porte di Mosca, e quella (molto meno da blitzkrieg) dell’esercito di Putin in Ucraina. Giusto per ricordare che le guerre possono a lungo termine cambiare corso. C’è poi il tema più generale della reazione occidentale: lo spirito della capitolazione di Monaco 1938 o quello della resistenza all’invasore del Churchill 1940?

Ma il discorso che il politologo fa nel suo ultimo libro, "Titanic" (Il Mulino) è un’analisi molto più vasta sull’equilibrio fra ordine liberale e potenze autocratiche come la stessa Russia e la Cina, per dire che serve un miglior rapporto fra spiriti animali del capitalismo e solidarietà sociale se si vuol mettere i paesi liberaldemocratici in condizioni di resistere all’onda delle dittature.

Un equilibrio, dirà Gotz Aly, che paradossalmente aveva trovato la Germania nazista con lo "Stato sociale di Hitler", un’economia di rapina ai danni dei paesi occupati e degli strati sociali emarginati (vedi gli ebrei) che consentiva prestazioni di welfare capaci di garantire il consenso della maggioranza dei tedeschi al Regime nazista. Il libro ha suscitato forti polemiche fra gli studiosi, ma basterà dire che anche Putin, a giudicare dai sondaggi, gode di un forte consenso nella società russa, fondato stavolta più che sul benessere sulla missione storica della Santa Madre Russia e sul suo destino inevitabilmente imperiale.

Nella Germania di Hitler ci volle appunto la disastrosa ritirata di Russia per incrinare l’appoggio popolare al Fuhrer. E di quella parla Alexander Starritt nel suo romanzo "La ritirata" (Guanda), presentato al festival come "la parte sbagliata della storia". Protagonista un soldato che solo a 90 anni trova il coraggio di raccontare al nipote quell’epopea tragica e i crimini di guerra che si trovò a condividere. E si torna sempre lì, a Bucha, ai delitti contro i civili. La storia, ahinoi, torna sempre sui suoi passi.