Salvatore Mannino / Sergio Rossi
Cronaca

"Giustizia per Martina": bloccato raid dimostrativo da Genova, 7 denunce, parla il babbo

Fino al paese degli assolti con un pulmino carico di manganelli, taglierini e spray: camalli nei guai. Bruno Rossi: «Spedizione? Lo fu quando profanarono la tomba di mia figlia».

Martina Rossi

Arezzo, 20 giugno 2020 - Camalli. Camalli come il babbo Bruno, sindacalista storico dei portuali genovesi e padre di Martina Rossi, la ragazza morta a Maiorca dopo un volo dal sesto piano di un hotel. Era il 2011 e lei aveva vent’anni. Ce ne sono voluti altri nove per vedere assolti i due ragazzi già condannati in primo grado a sei anni per tentata violenza di gruppo e morte in conseguenza di altro reato. Ma Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi sono stati scagionati il 5 giugno scorso nel clamoroso ribaltone maturato in appello a Firenze nell’indignazione dei genitori di Martina.

E torniamo ai camalli. Sono partiti in sette dentro un pulmino per una spedizione diretta a Castiglion Fibocchi, il paese in provincia di Arezzo che fu teatro della famosa perquisizione che portò a scoprire gli elenchi della P2 di Licio Gelli e che, molto più modestamente, è oggi il luogo di residenza dei ragazzi mandati assolti.

Spedizione punitiva? Più che altro dimostrativa ma che in ogni caso è sfociata in una denuncia dei sette con l’accusa di porto di oggetti atti a offendere. Il pulmino era stato fermato una prima volta dalla polizia stradale per un controllo di routine all’uscita del casello Valdarno. Al’interno, insieme ai sette, uno striscione: «Giustizia per Martina». E qualche bomboletta spray.

Poco per bloccare il viaggio, molto per insospettirsi. Infatti gli agenti chiamano la questura e contattano la Digos dove l’allarme è immediato. I poliziotti dell’ufficio politico fanno due più due e vanno diretti a Castiglion Fibocchi, sorvegliando il tratto di strada che arriva da Nord, dal Valdarno. Quando il pulmino arriva, lo stop è automatico.

Stavolta il controllo non è di routine ma sfocia in un’accurata perquisizione che arriva a risultati concreti. C’è lo striscione, e va bene. Ci sono le bombolette di vernice spray, e passino pure. Ma gli agenti trovano anche taglierini, un manganello telescopico, un moschettone con coltello polifunzionale, fumogeni nautici e materiale vario, in particolare pennelli e bomboli di vernice.

Quali le intenzioni del gruppo? Sono le undici di sera ed è arduo pensare che il «commando» avesse voluto irrompere in casa dei due assolti. Più probabilmente, come d’altra parte i sette hanno affermato, l’intento era quello di un’azione dimostrativa: appendere lo striscione a una cancellata e magari vergare con lo spray una frase sui muri delle due abitazioni nel mirino.

Quanto al manganello e al resto, il gruppo era formato da camalli del porto, fra i 40 e i 50 anni, tutti amici di Bruno Rossi che ovviamente con la storia nulla c’entra. Ma l’utilizzo di questi attrezzi era stato segnalato in manifestazioni di strada; e infatti alcuni dei sette sono gravati da precedenti specifici, reati di piazza insomma.

«Volevamo solo mettere in atto un gesto di solidarietà nei confronti del padre di Martina, senza commettere violenza» hanno detto agli agenti della Digos che chiedevano loro il senso della presenza a Castiglion Fibocchi.

Parla anche Bruno Rossi, «non era una spedizione - dice - lo fu molto più quando profanarono la tomba di mia figlia. Io però ho sempre seguito la strada del diritto, i due ragazzi assolti li voglio solo guardare negli occhi e chiedere: cosa è successo a Martina?».