Economia nella bufera: 10 milioni di ore di cassa integrazione, verso un autunno caldo

L’export potrebbe lasciare sul terreno 900 milioni, le stime sulla perdita del Pil arrivano fino a un miliardo nello scenario hard. Occupazione sotto dell’1,5%

lavoro in azienda

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Arezzo, 5 luglio 2020 - E la chiamano estate. Mai, almeno in anni recenti, si era mai vista una stagione così calamitosa per l’economia aretina. Basti ricordare un dato su tutti, fra quanti emergono a margine della Giornata dell’Economia organizzata dalla Camera di Commercio: fra aprile e maggio sono state utilizzate dalle imprese, grandi e piccole, qualcosa come dieci milioni di ore di cassa integrazione, soglia psicologica quantomai allarmante in una provincia che è tra le locomotive manifatturiere della Toscana.

E dà bene il polso di quanto la situazione resti difficile, con l’oro e la moda, i due settori portanti della produzione e dell’export che continuano a segnare il passo, soprattutto il primo, che è ancora quasi fermo al palo a due mesi dalla fine del lockdown e dal ritorno (teorico) in fabbrica. Dieci milioni sono una cifra enorme, quanto non se ne accumulava in anni, non in pochi mesi.

Eppure basta fare la somma. La cassa integrazione ordinaria (Cigo), quella del settore industriale, vale da sola, nei primi cinque mesi del 2020 quasi sette milioni di ore, cui vanno aggiunte un milione e mezzo di cassa in deroga. Siamo dunque ben oltre quota 8 milioni e senza computare i fondi di solidarietà, che sono la modalità di cassa del settore artigiano. In Toscana sono stati 35 milioni di ore, anche a fare una stima prudente del 10 per cento (ma Arezzo pesa di più a livello regionale) sono altri tre milioni.

I conti finali fateli un po’ voi ma dicono di una crisi che non promette niente di buono per settembre. Del resto, è sempre per conto della Camera di Commercio che il Cerved disegna due scenari sul Pil o valore aggiunto che dir si voglia. Uno al meno 8 per cento è quello soft, ma significherebbe comunque un calo di 680 milioni di prodotto lordo, quello hard invece prevede una caduta del 12 per cento e vorrebbe dire una distruzione di ricchezza nell’ordine del miliardo.

Come se Arezzo si rimangiasse di colpo quanto aveva ricostruito dopo le due grandi recessioni del 2008 e del 2011. I lampi di crisi si vedono anche dal lato dell’export, per il quale si stima (Prometeia) una discesa intorno al 10 per cento. Anche qui i calcoli si fanno alla svelta: 900 milioni in meno su un totale di circa 9 miliardi (più 33 per cento nel 2019, trascinato dalla corsa infinita dei lingotti, mentre i gioielli erano già fermi da febbraio).

Ma è una previsione che richiede una certa ripresa nell’ultima parte dell’anno, perchè oggi come oggi è andato in fumo un intero trimestre e siamo nell’ordine dei due miliardi e rotti. Solo il distretto orafo stima una perdita di mezzo miliardo nel corso del lockdown, con un ritorno alla normalità che si è dimostrato quantomai difficile: i principali mercati dei gioielli sono fermi o quasi, da Dubai a Hong Kong e agli Stati Uniti.

Inevitabile che questa brusca frenata si rifletta anche sull’occupazione. Sempre Prometeia mette nel conto per Arezzo un aumento dei senza lavoro dell’1,5 per cento. Non siamo al 10 per cento nazionale di disoccupati ma ci si avvicina pericolosamente. Insomma, fossimo al meteo, ci sarebbero tutti i segnali di una burrasca che si si avvicina. Senza una brusca inversione di rotta l’autunno sarà caldo come non accadeva da anni.