"Corsa a comprare il Panno che rischia di sparire"

Il titolare della Tacs, Savelli lancia l’allarme: "Senza la fabbrica di Soci mancano le pezze. I fatturati in forte crescita sono in bilico"

L’imprenditore Massimo Savelli, titolare della Tacs di Stia

L’imprenditore Massimo Savelli, titolare della Tacs di Stia

Arezzo, 2 agosto 2022 - "Ho appena assunto tre persone per far fronte agli ordini che continuiamo a ricevere", esclama Massimo Savelli, Non si arrende all’idea che il Panno del Casentino esca dalla storia e dalla fabbrica che lo produce da quasi due secoli. Esporta nel mondo pezze di pura lana col ricciolo e capi di abbigliamento dal 1976, nello stabilimento Tacs a Stia aperto dal babbo Bruno e ora condotto dal figlio David insieme a lui "già in pensione ma ho chiesto di restare al mio posto".

Proprio ieri ha spedito in Corea il tessuto e la produzione gira a pieno regime dopo il rallentamento imposto dalla pandemia. Lo dicono i numeri: "Il 70 per cento della produzione è calibrato sul panno del Casentino, tra tessuto e capi di abbigliamento. Abbiamo brevettato il marchio e creato una rete di produttori del Panno insieme ai ragazzi di Soci". I "ragazzi" come li chiama Savelli sono i diciotto lavoratori della Manifattura del Casentino sulle cui teste pende la lettera di avvio della procedura per i licenziamenti collettivi. Domani nella fabbrica-comunità di Soci è convocata l’assemblea dei lavoratori per decidere come portare avanti la vertenza. Il rischio della chiusura dell’attività impatta direttamente sulle aziende per le quali Manifattura del Casentino lavora in contoterzi. E una di queste è la Tacs di Savelli. "Siamo preoccupati per la prospettiva di perdere una tradizione secolare, non perchè mancano gli ordini, bensì per una questione immobiliare e sopratutto nel momento di massima domanda di commesse da parte dei clienti". Paradossi casentinesi e non solo perchè a pochi chilometri la Fimer (350 dipendenti e 220 nell’indotto), leader nel campo delle energie rinnovabili, rischia la stessa fine non per mancanza di lavoro ma per ragioni di liquidità. "Esportiamo nel mondo non solo capi esclusivi, ma anche la Toscana e il Casentino con la sua storia che ruota attorno alla lavorazione di questo panno fatto dall’unicità dell’acqua. Se dovesse finire la produzione a Soci, noi come faremo?".

Interrogativo che resta aperto e per chi fa impresa come Savelli "pesa" doppio perche impatta su una trentina di posti di lavoro e su ordini già in lavorazione arrivati da Giappone, Corea, Stati Uniti, Portogallo e perfino dal Kuwait. "Facciamo seimila capi di abbigliamento all’anno su una cartella di cinquanta colori a disposizione del cliente. Nel 2021 abbiamo esportato 700 pezze per un totale di 35mila metri e quest’anno le previsioni sono di un incremento del 25-30 per cento. Stiamo andando bene, ma questa incognita non ci voleva".

Un primo effetto c’è già: "Nei nostri showroom a Stia e Firenze molti clienti hanno fatto acquisti nel fine settimana perchè avendo letto i giornali e temevano di non ritrovare più il Panno del Casentino. Avevano programmato l’acquisto di un cappotto a settembre ma lo hanno anticipato", racconta Savelli. Non è il solo a rischiare grosso in questa intricata vicenda perchè i maestri lanieri di Soci lavorano anche per Tessilnova e il Gruppo Bellandi di Prato. "Se si comincia a chiudere aziende che vanno bene, casca il mondo", tuona Savelli. La vertenza è sul tavolo del governatore Giani. I consiglieri regionali Vincenzo Ceccarelli e Lucia De Robertis chiedono un intervento diretto per salvare il Panno del Casentino e chi lo fa.