Coinvolta a 70 anni come Vasco Rossi nella truffa dei diamanti: con lei altri tre aretini

Non sono grossi investitori, operazioni intorno ai diecimila euro. La Federconsumatori in campo per aiutarli a recuperare i soldi perduti

Truffa diamanti

Truffa diamanti

Arezzo, 21 febbraio 2019 - Un diamante è per sempre? Di sicuro ci sono quattro aretini che legheranno – per sempre – il nome della pietra più preziosa al ricordo di una truffa subita. Non solo grandi personaggi del mondo della musica o della tv, da Vasco Rossi a Simona Tagli, anche i piccoli investitori sono finiti nella rete del meccanismo che ormai tutti conoscono come ‘la truffa dei diamanti’.

Si tratta di una donna di 70 anni e di tre uomini di 57, 55 e 40 anni, piccoli risparmiatori che avevano investito mediamente diecimila euro comprando quello che appariva come un bene sicuro, tangibile, al contrario degli aleatori ‘titoli’.

Nell'inchiesta sono coinvolte la Intermarket Diamond Business di Milano, fallita, e la Diamond Private Investment di Roma mentre le banche coinvolte sono il Banco Bpm, Banca Aletti, UniCredit, Intesa San Paolo e Monte dei Paschi. Della vicenda si è occupata anche la Federconsumatori che, a proposito della truffa, spiega per bocca del presidente Pietro Ferrari: «Il problema grosso di tutta questa vicenda sarà quello dei rimborsi.

Se alcune banche, tipo Unicredit, si sono dichiarate disponibili a una trattativa altre, come il Monte dei Paschi, hanno rifiutato qualsiasi accordo transattivo. Questo significa quasi sicuramente che bisognerà instaurare un procedimento giudiziario. Si tenga presente che a questi risparmiatori era stato prospettato un investimenti sicuro su una pietra che si sarebbe rivalutata nel tempo. Invece, le quotazioni che venivano presentate non erano quelle ufficiali ma quelle fatte dalle società che le vendevano».

La truffa, spiega l’avvocato Matteo Ferrari Zanolini, era strutturata come una sorta di ‘schema Ponzi’: «Il prezzo di vendita del bene era maggiorato perché comprendeva l’Iva e le provvigioni per la banca e l’intermediario, ma di questo il cliente non aveva contezza. Su dieci mila euro investiti, poniamo, almeno 4 mila erano provvigioni. Ovviamente, l’investitore non avrebbe mai potuto rivendere la pietra sul mercato e guadagnarci quanto promesso.

L’unica soluzione era affidare di nuovo la vendita alla società intermediaria che avrebbe trovato un altro cliente al quale affibbiare il ‘pacco’, per usare termini poco ortodossi. Anche chi ha architettato la truffa sapeva che il meccanismo non poteva durare, lo schema era destinato a operare per cinque, sei anni al massimo. Per questo i contratti erano strutturati in modo che nessuno pensasse di rivendere le pietre prima dei quattro o cinque anni».

Poi qualcuno ha provato a rivendere i diamanti senza riuscirci e da lì sono partire le segnalazioni. Una puntata della trasmissione ‘Report’ del 2016 ha scoperchiato il vaso di Pandora e così migliaia di persone hanno scoperto di essere stati truffati. Adesso si deciderà in tribunale se tutti i soldi investiti torneranno ai proprietari o se saranno andati in fumo. Per sempre.