
dAlberto
Pierini
E’ la città dell’antiquariato: poteva essere la città dei fiori. La storia o la vita a volte si spostano per un filo di vento. Più spesso si muovono sotto la spinta delle idee e di chi sa portarle avanti. Come in questo caso. L’idea granitica di un antiquario dal modi eleganti e raffinati come Ivan Bruschi. Nato esattamente cento anni fa, il 22 settembre del 1920, nel cuore di un mondo ancora scosso dalla Grande Guerra. E che il mestiere lo aveva imparato dal fratello Livio, a Firenze, proprietario di una galleria d’arte, e poi coltivato alla scuola di Roberto Longhi. Un mestiere, anzi una passione. Travolgente, anche se sempre filtrata da uno stile pacato ma che se necessario sapeva incendiarsi. E intorno al quale avrebbe orientato la sua vita. Come in quel 1967. La Fiera non c’era ancora, se non nella sua immaginazione. Ma c’era una città alta da ricostruire e da ripensare: forse allora come oggi.
Da piazza Grande trasloca il Mercato delle Erbe: partono i carretti, i banchi della frutta, il pollame che tante stampe dell’epoca e litografie ritraggono, selfie di un’epoca che non c’è più. Il mercato finisce al Foro Boario, nella piazza si apre un vuoto. Al quale spesso segue il nulla (ricordate il tribunale?) a volte grandi idee.
Intorno alla scelta sulla piazza nasce un comitato: non di quelli dei giorni nostri, rivendicazioni e notai in azione, ma un comitato per la rinascita di piazza Grande. Dove confluiscono studiosi e innamorati della città: tra cui storici amici dei monumenti, come il cavalier Tenti o Alvaro De Fraja, o Alberto Droandi, direttore dell’ente per il turismo.
Una delle idee che sbuca dal tavolo è quella di una campionaria dei fiori, sorta di staffetta morbida, in verde, dalle arance alle rose. Però era un’idea che in Toscana non sarebbe stata nè unica nè prima come la Fiera. C’era già Pistoia, con il suo asset forte di produttori in tutta la provincia. Ed è lì che Ivan Bruschi, a 47 anni compiuti, irrompe nell’ufficio di Renato Gnocchi, sindaco ma anche suo compagno di scuola al Liceo Petrarca. "Mettiamo su un mercato antiquario".
Mercato, sottolinea, non una mostra. Perché era la chiave per richiamare il grande pubblico e insieme il modo per non duplicare altre esperienze, come la stessa Cortona, che pure alla sola idea era già sul piede di guerra. E l’antiquario di Castiglion Fibocchi,ma forte del timbro dei suoi viaggi europei, convince tutti. Un’idea mutuata da Portobello, dal Mercato delle Pulci, dall’occhio attento che fin da allora scopriva i dettagli e ne faceva la sostanza. Sarebbe stato il suo stile anche nel mestiere, cogliendo gioielli lì dove in pochi li avrebbero notati, dalle stanze delle coloniche alle ossa di un piccolo dinosauro.
Gioielli che nel tempo avrebbero trasformato il Palazzo del Capitano del Popolo, proprietà di famiglia da inizio ’900, in una fucina inesauribile di tesori e curiosità: testimone poi raccolto dalla Fondazione. Casa Museo che così ha resistito alla sua morte, sorta di "summa" della Fiera che le era nata intorno.
A due passi da piazza Vasari, il cuore dell’evento: nei primi anni l’antiquaria si sarebbe concentrata lì, solo dopo, davanti all’arrivo del grande pubblico, sarebbe scesa giù per il Corso e poi in San Francesco, tra le resistenze di chi non avrebbe voluto estenderne il perimetro.
La San Francesco dove lui avrebbe aperto la sua galleria antiquaria, facendone nel tempo la sede organizzativa della Fiera, anche grazie all’apporto prezioso della sua segretaria e braccio destro Carla Fantoni.
Era il 1958: dieci anni prima dell’invenzione dell’Antiquaria. E due anni dopo la morte della mamma e la scelta di lasciare Firenze per scommettere su Arezzo, proprio andando a vivere in quel palazzo davanti alla Pieve.
L’attività della bottega era cominciata vendendo gli arredi di Villa Terrosi Vagnoli a Cetona. Un film nel quale si rincorrono gioielli e location e del quale avrebbe scritto una pagina dopo l’altra la sceneggiatura. Bruschi, alle spalle una famiglia di commercianti di mobili , intanto aveva fatto della sua passione una rampa di lancio: che via via ne avrebbe fatto il presidente della Mostra di Todi, il pioniere del mobile antico a Cortona, l’anima della mostra nazionale a Palazzo Strozzi. Un groviglio di competenze ed emozioni che riversa nella Fiera, per fare di Arezzo il punto di riferimento.
Da ogni viaggio pescava tesori e nomi, nomi di antiquari di tutta Italia, e che Carla meticolosamente archiviava. Una fucina dalla quale poi avrebbe tratto gli inviti per la "sua" Fiera. Parecchi erano stati ricercatori già con il padre: dal Veneto alla Lombardia, dal Piemonte all’Umbria e alla Sicilia.
Fino all’irruzione nella stanza del sindaco e suo compagno di scuola. Lui sarebbe stato pronto a partire già nell’aprile di quel 1968: la burocrazia riuscì a frenarlo solo per due mesi. Il tempo di mettere nero su bianco un numero forte di antiquari: oltre cento, solo per la prima edizione. In una bella giornata di sole, quella del 2 giugno 1968. Quando se ne uscì a piedi dal suo Palazzetto, oggi Museo Bruschi, per affacciarsi su una piazza trasformata. Non dal profumo dei fiori, straordinario quanto volatile, ma da quello del tempo. E che al tempo resiste, dopo 52 anni.