Bancarotta Etruria, ispettori all'attacco: Gatti durissimo, il "colpo di stato" del 2009

In aula la cronaca del lungo giorno della defenestrazione di Faralli. Cantarella: "La gestione Fornasari era iniziata con un cambio di passo". Il nodo dei crediti deteriorati

Emanuele Gatti

Emanuele Gatti

Arezzo, 12 ottobre 2019 - Picchia duro come un pugile che ha messo l’avversario alle corde. Emanuele Gatti, il «mastino» di Bankitalia che condusse le due ispezioni del 2013, quelle che sprofondarono la banca nel diktat del governatore Ignazio Visco («Dovete fondervi con un istituto di elevato standing»), non fa sconti nella descrizione della situazione che trovò dentro Etruria.

Il ritratto di via Calamandrei che ne esce nell’udienza del maxi-processo, per bancarotta è devastante, in linea con il voto (5 su una scala fino a 6 in cui la pagella migliore è 1) che l’ispettore attribuì a Bpel al termine del suo lavoro. Un po’ più morbido (4, parzialmente sfavorevole)) era stato il voto di Vincenzo Cantarella, responsabile dell’ispezione del 2010.

E infatti anche il suo giudizio sulla qualità della gestione Fornasari è più attutito: quel Cda provò perlomeno a correggere la rotta di una banca in difficoltà. Ma l’uomo di via Nazionale ci aggiungere una cronaca graffiante di quello che chiama «il colpo di stato» del 2009, ovvero la defenestrazione dell’antico padre-padrone Elio Faralli in favore di Fornasari, decisivo il voto del discusso Alberto Rigotti.

Conviene dunque cominciare da qui, dalla cacciata del presidente storico, sotto la cui guida, spiega Cantarella la banca aveva seguito una politica di acquisizioni fin troppo spinta, con scarsa attenzione alla qualità del credito. In Bpel quel maggio 2009 è convulso, con due gruppi che si contendono la guida di via Calamandrei. La prima mossa la fa la corrente Fornasari, che chiede la convocazione di un Cda con all’ordine del giorno la sostituzione del presidente. Faralli ovviamente si guarda bene dall’indire la riunione, che allora viene programmata per il 23 maggio dal capo del collegio sindacale. 

Ma il vecchio leone non si arrende e tenta la sua mossa: convoca a sua volta il Cda per un’ora prima, obiettivo la decadenza di Rigotti, sovraesposto con i suoi fidi, in modo da far mancare ai «golpisti» il voto determinante. Gli altri fanno saltare il numero legale e si giunge così al consiglio che si spacca: 8 a 7 per revocare il presidente,l’ago della bilancia Rigotti era rientrato dallo sconfinamento che gli avrebbe impedito di partecipare alla riunione solo il giorno prima. Non è ancora emerso nel processo, ma secondo l’accusa, lo fece grazie a un prestito di 1,4 milioni fornito dalla stessa banca e mai rientrato.

Comunque, Cantarella riconosce alla gestione che uscì da quella seduta di aver abbozzato un piano industriale nel quale si metteva fine al rischioso acquisto di altre banche e si proponeva di migliorare la gestione del credito, anche se poi non sempre i fatti corrisposero alle intenzioni e la situazione andò pian piano peggiorando. Tanto che quando nel dicembre 2012 arriva l’ispezione di Gatti, in principio centrata sulla verifica dei crediti deteriorati, il campione che il suo team verifica dà risultati drammatici: 200 milioni di rettifiche per ulteriori perdite su 800 milioni controllati, il 25 per cento.

tre quarti di quelli che Bpel aveva classificato come incagli, accusa, erano in realtà sofferenze, non c’erano criteri corretti per calcolare le perdite, di molto sottostimate rispetto a quelle reali. Mentre il bilancio 2012 si chiude con un rosso monstre di 122 milioni, Gatti continua il suo lavoro, da marzo a settembre, sotto forma di ispezione generale.

La riclassificazione dei deteriorati ne porta il livello al 33 per cento del credito complessivo, una soglia insostenibile per chiunque, specie per una banca sottocapitalizzata e a rischio reputazionale. Il primo rilievo dell’ispettore è dunque l’impossibilità per Bpel di continuare a vivere autonomamente. Due mesi, a dicembre, dopo la lettera di Visco che è il preannuncio del diluvio.