Renzino: cent'anni fa la Domenica di sangue con dodici morti

L'imboscata ai fascisti (3 vittime) e la reazione squadristica (altre 9). Il più grave episodio di violenza politica di un'epoca turbolenta, un caso di rilievo nazionale

Foiano occupata dai fascisti nella foto di Furio Del Furia

Foiano occupata dai fascisti nella foto di Furio Del Furia

Arezzo, 17 aprile 2021 - Il picco del picco. Mai, nella sua storia recente, Arezzo ha conosciuto un periodo di violenza politica sanguinoso come quello del marzo-aprile 1921, l’apice di una guerra civile (ma il termine è storiograficamente discusso) strisciante di cui Foiano, anzi i fatti di Renzino, sono a loro volta la punta più tragica. Un caso di rilievo nazionale, che provocherà conseguenze politiche di livello nazionale e dominerà per giorni le cronache dei giornali dell’epoca, non soloLa Nazione e il Nuovo Giornale, i quotidiani toscani, ma anche il Corriere della Sera, La Stampa, Il Popolo d’Italia, organo personale di Mussolini, e l’Avanti!, organo invece del partito socialista, perlomeno di quanto ne rimaneva. Il 17 aprile 1921, cento anni fa.

Era una domenica, quel giorno destinato a passare alla storia come la Domenica di sangue, ma prima di esaminarne i terribili sviluppi, per i quali vale davvero quanto scrisse Angelo Tasca, primo storico delle origini del fascismo (in nessun luogo la violenza raggiunse le vette della «gentil Toscana»), è opportuno inquadrare il contesto. Nella fiammata cominciata i 23 marzo coi fatti di Castelnuovo e San Giovanni, gli squadristi si sono ormai impadroniti di gran parte della provincia, compreso il capoluogo occupato la domenica precedente con il morto, i feriti, i dirigenti di sinistra banditi, l’occupazione dei quartieri popolari di cui abbiamo già scritto. Manca solo La Valdichiana, che è il cuore dell’organizzazione mezzadrile rossa, la zona in cui il vecchio partito socialista ha raggiunto il culmine dei voti e dell’influenza, quella in cui le leghe dei contadini sono più forti. Foiano, primo comune in cui si è insediata un’amministrazione socialista a inizio ’900, ne è il simbolo. E come tale i fascisti la attaccano per prima.

La spedizione punitiva di partenza è quella di martedì 12 aprile, nel pieno della lotta per il capoluogo. Gli squadristi, al comando del fiorentino Pirro Nenciolini e del foianese Giovan Battista Romboli, personaggio importante del primissimo fascismo, poi latitante nella villa cortonese di Lando Passerini, grande dantista e agrario, metafora delle classi sociali che simpatizzano per le camicie nere, arrivano all’alba e devastano tutto: il Comune, passato ai comunisti dopo la scissione, la cooperativa, la Camera del lavoro. Portano anche una lettera del segretario regionale dei fasci, il famigerato marchese Dino Perrone Compagni, che impone le dimissioni della giunta rossa, mentre i dirigenti di sinistra si sono dati alla campagna.

Nei giorni successivi a Foiano si discute molto: deve lasciare il sindaco Nucci? La scelta viene rimessa agli organi provinciali dei partiti socialista e comunista in dissoluzione. Decidano sul posto, è la replica, le dimissioni non saranno contrastate. La situazione precipita nel fine settimana. Il sabato sera Romboli ha sentore di un tentativo di riorganizzazione a sinistra, ad Arezzo si decide per una spedizione il giorno successivo. All’alba partono in 22, al comando del capitano Giuseppe Fegino, ufficiale in servizio effettivo al 70° Fanteria, di stanza nel capoluogo, il simbolo di come in quel momento sia difficile distinguere fra illegalismo squadrista, forze dell’ordine e militari. I fucili, con la sua complicità, vengono prelevati dal deposito del reggimento. Per la prima volta, insieme ai fiorentini, c’è una maggioranza di aretini, fra i quali Aldo Roselli e Bruno Dal Piaz, entrambi studenti.

L’idea è quella di una spedizione d’assaggio, tanto che Dal Piaz nel pomeriggio dovrebbe andare in trasferta a Città di Castello con la sua squadra di calcio. Infatti, il raid è meno violento del primo e si allarga a Marciano, dove viene sequestrato il locale segretario comunista. Sulla via del ritorno, uno dei fascisti, Ettore Guidi, resta ferito da un colpo di fucile. Gli altri lo accompagnano all’ospedale di Foiano e poi decidono di fermarsi per il pranzo.

E’ il momento topico, quello nel quale i militanti rossi, comunisti e anarchici, rialzano la testa e organizzano in tutta fretta, profittando della circostanza, un’imboscata. Si appostano sulla via del ritorno del ritorno degli squadristi, dietro una siepe della Cascina Sarri di Renzino, quasi al bivio con Brolio. Alle 16 i due camion dei fascisti vengono investiti da una raffica di fuoco. Viene ucciso Dante Rossi, l’autista, fiorentino, il mezzo sbanda, finisce nel fosso. Contadini e militanti, fra i quali ci sono Bernardo Melacci, anarchico, e Galliano Gervasi, comunista, futuro parlamentare, si lanciano sui superstiti, anche con forconi e roncole. Quasi tutti i fascisti riescono a rifugiarsi nella fattoria di Brolio, restano sul terreno Tolemaide Cinini, ferrarese, militare in licenza, e Aldo Roselli, protomartire del fascismo aretino, di cui Renzino diverrà il mito fondante. Dal Piaz è gravemente ferito.

Gli squadristi si riorganizzano con rinforzi dal paese, da Arezzo e da Siena. E’ un’orgia di sangue. Al tramonto il paese con i suoi cascinali brucia. Vengono uccisi per vendetta Leopoldo Nocciolini, Egisto Burri e Luisa Bracciali. In paese viene freddato il comunista Igino Milani, che si rifiuta di abiurare. Nei giorni successivi verranno ammazzati anche Luigi Mencarelli, Ghino Grazi, Stefano Malentacchi e Tito Torti. Il lunedì gli squadristi giungono fin da Roma e Ferrara, da Firenza cala su Arezzo Tullio Tamburini, futuro capo della polizia di Salò, che guida i suoi al sequestro di Arnaldo Pieraccini, capo riformista, e Ferruccio Bernardini, ex deputato. Il secondo è condotto a Foiano e costretto a una pubblica ritrattazione sui «fascisti cavalieri dell’ideale». Con lui viene trascinato Gino Gherardi, che tenta la fuga e viene ucciso sul posto. L’ex deputato se la cava, grazie (scrive Gaetano Salvemini) «a un atto di vigliaccheria che disonora i suoi carcerieri non meno di lui». Il martedì, una delegazione di contadini si reca da Tamburini, accampato al Teatro Garibaldi di Foiano e implora la fine delle «giuste rappresaglie».

E’ il termine delle violenze, ma solo l’inizio del caso Renzino. Il presidente del consiglio Giolitti silura prefetto e questore per la debolezza dimostrata, è l’avvio di un carteggio che vede protagonista soprattutto il sottosegretario all’Interno Camillo Corradini, inutilmente schierato contro il muro di gomma di autorità militari e locali complici dei fascisti. Il giovedì si svolgono i funerali dei tre «martiri» squadristi, ad Arezzo, in San Francesco, col Vescovo Mignone. Il corteo attraversa il centro, dalle finestre si lanciano fiori. Comincia un rituale che andrà avanti fino alla caduta del Regime, nel ’43.