Archivio, un anno fa la tragedia, le mogli delle vittime: "Mai avvertiti dei pericoli"

Monica e Anna: "Non sarebbero mai scesi sapendo di rischiare la vita. Noi lottiamo per i figli. Incubo falsi allarmi". Oggi il sottosegretario in città

Le vedove di Filippo Bagni e Piero Bruni

Le vedove di Filippo Bagni e Piero Bruni

Arezzo, 20 settembre 2019 - «Sono loro a darci la spinta: non avrebbero mai voluto che ci arrendessimo». Anna e Monica, un anno fa la loro vita è cambiata, travolta da quella nuvola di gas che ha ucciso all’Archivio di Stato Filippo Bagni e Piero Bruni. Filippo e Piero, i loro mariti, i loro compagni di vita. «Non ricordo una sola cosa che non abbiamo condiviso» dice Monica con la voce a tratti spezzata, come se un anno o un minuto fossero la stessa cosa. Però un anno è passato e ancora le risposte non ci sono. «Non ho alcuna voglia di vendetta – riparte Anna – ma solo quella di dare una risposta a mia figlia».

«Per carattere – insiste Monica – chiuderei tutto: qualunque sia l’esito finale dell’inchiesta, nessuno mi ridarà Piero». Però c’è qualcosa alla quale non rinuncerebbe mai. «La preoccupazione è solo legata ai nostri ragazzi: non devono essere dimenticati. C’è una legge, quella sui figli delle vittime del dovere, che li riguarda direttamente: ma ancora non sono riconosciuti come tali».

Con la mitezza che neanche la tragedia ha incrinato non ne fa una questione di stato. «Capisco fosse difficile: se fai il poliziotto o il vigile del fuoco, sai quali sono i rischi. E in questi casi la legge scatta automatica. Ma chi avrebbe mai immaginato che un dipendente dell’archivio di stato potesse morire così?».

E’ la domanda che si insegue da un anno ma che ogni minuto rimbalza dentro le loro case, dove tanti dettagli ricordano chi hanno perso, e dentro di loro. «Però è un obiettivo che non ci stancheremo di inseguire: qualunque incontro, qualunque viaggio lo faremo». E’ la vera molla ad un anno o ad un minuto dalla tragedia. Che oggi sarà ricordata in modo anche solenne. «Noi ci saremmo accontentate anche di un momento privato, di una Messa insieme» dice Anna. Parla sempre al plurale. «Lo sa? Da questa tragedia è nata una grande amicizia». Poi ritornano alla giornata. «Ma siamo grate a chi ha voluto ricordarli così».

La Messa del Vescovo, la dedica della sala. Una di quelle sale dove Piero e Filippo lavoravano sodo e dove sono rientrate via via a trovare gli amici. «Per noi sono amici: quella tragedia ha devastato noi ma ha lasciato anche tra loro una cicatrice profondissima». E la mente, o forse il cuore, non può non tornare al 20 settembre di un anno fa.

«Non entriamo nelle spiegazioni tecniche: aspettiamo fiduciose le risposte che arriveranno». Ma su un punto sono nette, anche perché vogliono, devono dare voce a Piero e a Filippo. «Non avrebbero mai sceso quei 15 scalini se qualcuno gli avesse solo ipotizzato un pericolo mortale». Corsi sulla sicurezza, indicazioni, consigli: e quell’argon rimasto invisibile e insidioso, fino al momento fatale. «Erano coscienziosi e perfino pignoli: mai superficiali, si erano trovati insieme per questo».

E l’altro anello che gli fa male. «Quei continui allarmi a vuoto ti lasciano sgomenta». Rabbia? «No – ribatte Monica – è un sentimento che non riesco a coltivare. Però sembra impossibile che un anno dopo resistano gli stessi problemi». E prima, i segnali precedenti? «Un allarme – risponde Anna – c’era stato anche il pomeriggio prima». «Mi dicono tutti – sussurra Monica – che si ripetevano: ma è una delle tante cose che ho rimosso».

La puntina gira, il solco sul quale cade è lo stesso: i ragazzi. «Ti ritrovi sola a gestire un’educazione, una crescita: i nostri figli sono maturi ma oggi i tempi si sono dilatati per tutti». La legge per le vittime del dovere parla di assunzione diretta nel pubblico impiego. «Decideranno poi loro se sfruttarla, sanno camminare da soli: però è giusto che questa possibilità gli venga riconosciuta, l’hanno pagata cara».

Entrambe le coppie condividevano anche la fede. «La fede ti aiuta – dice Monica – ma finché non ti succede una cosa del genere non ti rendi conto di cosa significhi». Non rimette in discussione niente di quella fede, solo la incrocia con la vita e la morte, per renderla ancora più profonda.

Ancora più vera. «Io lo sento sempre con me – dice Anna – e ne parlo tantissimo, mi aiuta a sentirlo vivo». A ricevere quella spinta che la manda avanti. Un anno dopo. Un minuto dopo.