Addio al parroco poeta e missionario Don Fortunato, pioniere di San Zeno

Bardelli aveva scritto il testo della Passione, poi usato in altre chiese. Il suo ultimo incarico a Frassineto. Faceva la spola con il Brasile e con l’aiuto della città aveva rilanciato tanti giovani. La sua Arezzo in America.

Addio al parroco poeta e missionario  Don Fortunato, pioniere di San Zeno

Addio al parroco poeta e missionario Don Fortunato, pioniere di San Zeno

di Alberto Pierini

Alcione ha perso il suo angelo custode. Il ragazzo brasiliano aveva visto morire in Brasile prima il padre, ammazzato sotto i suoi occhi, e poi la mamma, per una di quelle malattie tropicali che non perdonano. Era stato don Fortunato Bardelli a ridargli una speranza. Lui, il poeta missionario della parrocchia accanto. Che proprio ieri si è spento a Pisa, a 77 anni. Una lunga malattia, l’impossibilità negli ultimi mesi di seguire la sua ultima parrocchia: quella di Frassineto.

Aveva portato anche lì la "Passione": un testo che aveva ideato e scritto, per farne la colonna della rievocazione di San Zeno. Che ancora oggi lo ricorda con affetto, soprattutto ogni volta che quelle tre croci vengono piantate sulla collina. Un testo diventato poi lo stesso via via nelle altre parrocchie dove si era esteso. A Frassineto, grazie alla splendida villa che la caratterizza, aveva esaltato il processo, il sinedrio.

Don Fortunato era questo: ma era anche tante altre cose. Un parroco vero: alla fine, malgrado i suoi talenti fossero mille e sparsi per il mondo, era sempre rimasto tale, senza abbandonare la sua gente. Che anzi lo affiancava in tutti i suoi progetti.

Il più ambizioso era il "Progetto Speranza"; che poi in portoghese si dice "esperanca" e suona ancora più dolce.

Certo molto più delle favelas: alle quali Fortunato dava del tu e dalle quali aveva strappato giovani come Alcione e tanti altri. Ad Alcione aveva fatto studiare l’arte orafa.

Il Progetto Speranza si sarebbe trasformato in un grande centro educativo: 300 ragazzi, tra i 7 e i 15 anni. Nella zona di Goianya e di Alexania. Lo avrebbe chiamato San Donato: ma a troneggiare all’ingresso c’era la parola Arezzo, quasi un ponte lanciato tra le due rive dell’oceano. Aule, laboratori, refettori, cucina. E una grande palestra. Aiuti periodici, per i quali tante famiglie si tassavano. L’Arezzo religiosa e quella laica a braccetto. Anche l’allora vescovo Gualtiero Bassetti avrebbe preso l’aereo per andare a visitare quel centro. Ma d’altra parte era difficile resistere alle proposte di don Fortunato. Primo perché erano quasi profetiche.

E poi perché sapeva motivarle, colorarle, raccontarle in tutti i loro risvolti. Come faceva con i libri, ai quali via via affidava il racconto. Di Alcione ma anche di Alessandro Lima, Alessandro Batista, Jair e dei mille ragazzi che con lui avevano trovato la speranza. Anzi "esperanca", un po’ più dolce di una realtà che solo Fortunato sapeva trasformare.