
Gli ultimi giorni di Pompeo
Arezzo 9 giugno 2021 - “Vivo sulla lama, mi commuovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio e tutto tona bello, più splendente dirima. L’alternativa è la birreria, il lavoro, il risparmio, il normale sfaldarsi del corpo”. Sono le parole di Andrea Pazienza tratte da uno dei suoi fumetti più letti “Gli ultimi giorni di Pompeo”. Il ritratto di una generazione, si può dire, ma soprattutto un viaggio in cui l’artista accompagna chi lo legge nel mondo disperato dell’eroina e dell’autodistruzione che paradossalmente è la ricerca della libertà.
La prima graphic novel della storia dei fumetti, con tanti disegni ma anche tanto testo. Al punto da diventare uno spettacolo teatrale che per la prima volta ricalca parola per parola il testo originale ma senza i disegni. Anzi, per ora si tratta di uno “studio” in attesa del debutto ufficiale nel 2022 al Metastasio di Prato con una anteprima in autunno ad Arezzo.
“Siamo stati fedelissimi al testo, dando una tridimensione attraverso tre personaggi che si scambiano i ruoli interpretando Pompeo a rotazione” precisano gli autori e protagonisti Massimo Bonechi, Riccardo Goretti e Giorgio Rossi che lo hanno portato inscena al teatro Mario Spina di Castiglion Fiorentino alla presenza della moglie Marina Comandini e anche al Damslab a Bologna, città che ha allestito la mostra dedicata a Pazienza.
Il legante è stato il ballerino e coreografo fondatore di Sosta Palmizi Giorgio Rossi, amico dell’artista dagli anni Ottanta: “Con Pazienza ci siamo conosciuti nel 1984 a Montepulciano, io stavo provando il mio primo spettacolo, lui si era appena trasferito da Bologna con la moglie. Frequentavamo lo stesso ristorante ed è nata un’amicizia fortissima per me. Mi disegnava mentre danzavo e ha realizzato per me la scenografia dello spettacolo Dai Colli per l’Inteatro festival di Polverigi, un fondale di sette metri per dodici. Abbiamo continuato a frequentarci, e siamo rimasti legati, l’ultima volta che l’ho visto è stato un mese e mezzo prima della sua morte”.
Per molti la storia di Pompeo è la sua biografia.
“Il fumetto finisce con lui che si suicida, ma è di tre anni prima della sua scomparsa - continua Rossi - in realtà quel racconto di morte per lui fu la liberazione dalla droga, aveva smesso, se ne era liberato, neanche beveva e amava la sua famiglia. Voleva raccontare quell’inferno di dolore, violenza, bassifondi, tra siringhe, droga, amici morti di Aids. Quella storia lo ha aiutato ad uscire”.
Il testo dello spettacolo è esattamente il testo del fumetto.
“E’ stata la scommessa di Riccardo Goretti, l’ideatore del progetto. Di noi tre nessuno assomiglia ad Andrea eppure lo raccontiamo tutti e tre, io con la danza con la quale lui mi ha conosciuto e che ho fatto con i suoi spettacoli. Questa distanza, anche per età, ha fatto sì che lo potessimo rappresentare con i nostri personaggi. Ed è stato proprio, Riccardo ideatore mi ha coinvolto portadomi in scena nonostante non lo facessi più da tre anni”.
Una idea che l’attore casentinese Riccardo Goretti aveva in testa da dieci anni: “Volevo dimostrare che il testo riusciva a stare in piedi anche da solo, senza i disegni. Volevo che Pazienza venisse ricordato non solo come grande fumettista, ma anche come grande scrittore e poeta”.
Nello spettacolo ci sono anche altre voci amiche come quelle di David Riondino e Lucia Poli. E in platea ad assistere a questo “studio” la vedova Marina Comandini, commossa, felice di vedere uno spettacolo così fedele all’opera originale: “Questo spettacolo ha un passo diverso rispetto al passato. Su ‘Gli ultimi giorni di Pompeo” ci sono state altre due produzioni, ma qui c’è qualcosa di più, la trasposizione teatrale mantiene il testo originale, ogni parola è assolutamente fedele al testo e i tre personaggi che si scambiano i ruoli è veramente teatro. Una realizzazione bellissima, piena di ironia e di poesia”.
Una storia di autodistruzione “che in qualche modo ci fa sentire tutti coinvolti - ammette Massimo Bonechi - una grande tragedia che è anche protesta e ribellione contro un modo di essere, contro la gabbia che ci condiziona e ci rende schiavi delle nostre stesse vite”.
Tre attori, tre corpi che raccontano senza disegni una storia tridimensionale piena di oggetti e di ricordi di vita: “Io in scena danzo su musiche prese dalle cassette di Andrea - confessa Rossi - porto la Lacoste blu che avevamo comprato insieme e i jeans con cui andavamo in giro le estati a Montepulciano”.