Virzì "gira" e i viareggini gli spiegano come

Il regista premiato col Burlamacco d’oro: "Venni qui da bambino" / FOTO: CIAK SI GIRA / IL NUOVO FILM DI VIRZI': UNA STORIA AMBIENTATA IN TOSCANA / IL BURLAMACCO D'ORO 2015 A PAOLO VIRZI' / VIRZI' PREMIATO: FOTO / CARNEVALE: IL QUARTO CORSO, LE FOTO

Paolo Virzì tiene in spalla la cinepresa (foto Umicini)

Paolo Virzì tiene in spalla la cinepresa (foto Umicini)

Viareggio, 23 febbraio 2015 - DEL SUO CARNEVALE da bambino ha conservato il ricordo indelebile, stampato in fronte, per almeno un paio di settimane. «Un bernoccolo; sì... venni da piccino con i miei genitori e presi una manganellata in fronte. Ma usa ancora così?». No, Paolo Virzì può star tranquillo. Anche se mentre la tribuna d’onore viene scossa dal passaggio di ‘Bella Ciao’, nella versione balcanica di Bregovic, il nonno partigiano Fortunato Menichetti gli agita la bandiera tricolore in testa. Lui, allarga quel sorriso spigliato della gente di mare, accende il telefonino e riprende ogni dettaglio spontaneo dei fuori onda del corso. Dicevamo che Paolo Virzì può stare, abbastanza, tranquillo: a questo giro è Viareggio che gli porge l’altra guancia. Il suo profilo migliore ad un cinema che l’aveva dimenticata. Quello d’autore che trova nel regista livornese un figlio prediletto.

E COSI’ nella strana domenica che apre le riprese di «Un po’ di felicità» – il titolo è ancora provvisorio – anche il sole si è messo in posa. Come i figuranti dei carri – indigeni, pagliacci e diavolesse tentatrici – che nei panni delle comparse hanno scortato quella giovane mamma, interpretata da Micaela Ramazzotti, al corso. Una piccola sfilata, muta, costruita su misura per il set cinematografico. Che si apre con la protagonista, che pare uscita dalle pagine dello zoo di Berlino, che ancheggia in modo eccessivo nella minigonna di jeans trainando il passeggino, saluta svampita, gonfia un palloncino di ‘cingomma’ tra le labbra prima di essere sommersa dai coriandoli. Incontra un uomo, scoppia una discussione. «Stoooooooop» grida nel microfono l’aiuto regista. Si ripete ancora la scena, e poi ancora. E tanti viareggini – gli stessi che per intenderci sono ingegneri duranti i lavori in corso – sciorinano nozioni di cinematografia. Commentano la scenografia, ipotizzano le inquadrature giuste, coordinano i curiosi: un film nel film. «Ma l’impatto complessivo, nei tagli della cinepresa – dice Virzì – è davvero bello, ancora meglio di come l’avevo immaginato», e noi ci fidiamo del colpo d’occhio di un regista... di professione. La scena girata al Carnevale sarà solo un coriandolo all’interno del film; «sarà un frammento, il ricordo di una delle due protagoniste» spiega. Appena uscite da un centro di salute mentale. Per girare, insieme a tutta la trouppe fatta per lo più da giovani eredi dei figli dei fiori, tornerà in Versilia a maggio. E qui resterà per un paio di mesi. «Il film – svela, ma non troppo – si muove durante un’estate, e sarà ambiantato tra Viareggio e Pietrasanta». Ma perché proprio la Versilia? «Perché vorrei rievocare le vacanze all’italiana: quel grande manicomio a cielo aperto». E per farlo si è lasciato ispirare da quei vecchi film cult dal sapore di sale che hanno segnato l’immaginario balneare di un’intera generazione. Non dice di più, preferisce soffermarsi sulla sua giornata particolare. E mentre Micaela Ramazzotti ha guardato il corso dal balcone dell’hotel «per la prima volta in vita sua» racconta; lui si è accomodato in tribuna prima di ricevere il Burlamacco d’Oro sul palco di piazza Mazzini. Ha scambiato quattro chiacchiere con Arnaldo Galli, che gli raccontato di quando Fellini gli commissionò la gigantografia dei Anita Ekberg con l’unica premessa: «i seni dovono respirare». E ha filmato, ha filmato tutto con il suo telefonino. A fine giornata ci perdiamo nella descrizione del Carnevale, che Virzì fotografa in mille immagini:« C’è tutto, è una meravigliosa allucinazione. E’ gioia e sgomento, allegro e feroce, scanzonato ma sulfureo, perfino cattivo». Ma noi vogliamo sapere come lo vive Paolo. Che sul filo della malinconia tesse con spirito le sue storie tragicomiche. Allora lui si porta le mani alla bocca dello stomaco, come se tutte le emozioni fossero chiuse lì e non andassero ‘nè giù, nè su’; per citare quell’Ovosodo che dai Quattro Mori l’ha lanciato fin quasi a Hollywood. «Uno strazio, ma non lo scriva». E perché no? «Non vorrei che fosse presa come un’offesa». No, è un sentimento. La suggestione di un uomo, che guarda oltre l’apparenza. Scava, indaga con curiosità e un po’ di sofferenza.